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Intervista a Giosuè Calaciura su Pantelleria: povera d’acqua, ma ricca d’intelligenza
15/04/2019Vincitore del Premio Presìdi di Libri a Taranto con il suo libro ‘Il Tram di Natale’, abbiamo intervistato Giosuè Calaciura, autore di ‘Pantelleria, l’ultima isola’, che ci ha parlato del suo ultimo libro e del suo amore immenso per Pantelleria: “Un’isola unica, povera d’acqua, ma ricchissima d’intelligenza.”
di Francesca Marrucci
Giosuè Calaciura è giornalista, autore, ma soprattutto scrittore, anche se ai romanzi è arrivato tardi, come ci ha raccontato lui stesso. Conosciuto a Pantelleria per il suo libro del 2016 ‘Pantelleria, l’ultima isola’ che è diventato un po’ il vademecum del turista che vuole affrontare un viaggio nella Perla Nera approfondendo la sua storia, anzi, nel caso del libro di Calaciura, delle sue storie.
Un po’ come Michael Ende con la Storia Infinita questo libro apre ad altre storie in ogni capitolo. Storie di panteschi, di paesaggi di mare, di vino, di pirati, di ospitalità, di lotta, di sopravvivenza. Per questo, probabilmente, non solo è ancora così amato, ma contribuisce a far amare Pantelleria già prima di arrivarci.
Ma Calaciura, dopo il 2016, ha scritto altri romanzi e collezionato successi di critica e premi. Già nel 2017 aveva vinto il Premio Volponi per Borgo Vecchio, libro dello stesso anno. Quest’anno, invece, ha ricevuto la scorsa settimana il Premio Presìdi di Libri a Taranto per Il Tram di Natale.
Abbiamo intervistato Calaciura per parlarci di questo suo ultimo lavoro, ma anche del suo amore per Pantelleria.
Come nasce l’idea di ‘Il Tram di Natale’?
La Sellerio ogni anno per Natale fa una pubblicazione specifica, in genere una strenna natalizia con racconti di vari autori. Questa volta hanno scelto solo me lasciandomi scegliere tra i temi a me più cari. Da tempo volevo scrivere qualcosa sui viaggi in tram, dalla periferia al centro e viceversa. Ho unito queste cose e ho immaginato una notte di Natale su un tram con tante storie diverse e tanti personaggi inusuali alle storie classiche di Natale. Si tratta, in un certo senso, di un contro-Natale, un Natale degli ultimi, quelli che il Natale non ce l’hanno. Quello del Natale è sempre stato uno dei miei temi preferiti, perché è un periodo in cui siamo costretti a guardarci allo specchio e in genere quello che vediamo riflesso non ci piace. Questo, che dovrebbe essere un miracolo di cambiamento, ci rende nervosi, evidenzia sempre i nostri limiti e può diventare un momento difficile per famiglie. Tutti insieme, sotto lo stesso tetto, per tanto tempo, è inevitabile che escano i nodi, quello che in genere non viene detto, cose che spesso sconvolgono le vite.
Vede il Natale in modo così negativo?
L’ho sempre visto, anche per come l’ho vissuto in famiglia, come un momento di grandi attese e speranze mal riposte che nel momento clou innescavano liti, nervosismi. Quindi, avevo l’esigenza di raccontare un Natale diverso.
Quello del tram?
Questa strenna è una foto di quello che viviamo oggi e del difficile momento sociale che sta attraversando l’Italia. C’è tutto: i diversi tipi di razzismi, il non detto, i nodi collettivi, la marginalità, il razzismo non dichiarato, la povertà, quello che la nostra coscienza di solito nasconde, ecco, tutto questo ho pensato di metterlo in un romanzo.
E da Natale, il Tram continua a riscuotere successi e premi…
Sono molto contento di questa ‘vita lunga’ di questo libro e dei consensi di pubblico. Su internet è stato molto apprezzato e amato, come il precedente ‘Borgo Vecchio’. I commenti dei lettori mi interessano molto e mi fanno piacere.
Lei però nasce come giornalista, non come scrittore…
Ho cominciato a scrivere tardi, a 38 anni. Dopo aver lavorato come giornalista a L’Ora di Palermo mi sono dato alla cucina. Facevo il cuoco e in quel periodo ho cominciato a scrivere il mio primo romanzo che uscì nel 1998. Ora raramente scrivo su qualche giornale, però mi sento molto più giornalista quando scrivo romanzi che in una redazione. Le notizie uno le può fare diventare altro, raccontarle in modo diverso. Il Tram di Natale, ad esempio, è uno squarcio di realtà, sono tutte storie vere e raccontarle significa anche dare sfogo alla mia verve giornalistica che rimane forte, è l’occasione per il giornalista che è ancora in me di applicare il concetto di verità etica.
È con questo stesso approccio che ha scritto ‘Pantelleria, l’ultima isola’?
Quando alla Laterza mi proposero di trattare le Isole Minori, risposi che di minore in queste isole c’era poco. Pensai a Pantelleria che era davvero particolare. Anche Linosa e Lampedusa, ma Pantelleria ha una sua forza millenaria che ha visto passare da lì tutti. Una geologia così forte che fa sentire sempre la sua voce, un elemento mitico che motiva la continua lotta per strappare la terra al vulcano. E il giardino pantesco? Un esempio fantastico di intelligenza agricola per resistere al vento. Ecco, c’è un’intelligenza a Pantelleria che è riuscita a creare il paesaggio. Il lavoro dell’uomo si vede subito, ha cambiato il paesaggio, è un’isola dell’uomo, la sua presenza, nei muretti, nei dammusi, nei giardini, nelle coltivazioni, è capillare.
Da quanto tempo manca da Pantelleria?
È da molto che non torno a Pantelleria, da due anni ormai. Mi ha subito catturato, perché rappresenta l’utopia realizzata di una Sicilia operosa, dove la Sicilia mafiosa è quasi assente, dove impera l’attenzione per la terra. Questa è un’isola che non guarda verso il mare, ma in sé stessa. Ha al suo interno eccellenze uniche, esclusive. Pensiamo alla vite, protetta dall’UNESCO, una chicca, che riesce ad opporsi ad una meteorologia spaventosa. Mi manca Pantelleria, eh sì.
Pantelleria, come dice anche nel suo libro, è un’isola di storie, di persone, di luoghi. In cosa sono diversi dalle altre isole?
Pantelleria è quello che potrebbe essere tutta la Sicilia, che però per le sue palle al piede e maledizioni di mafia e collusioni non è mai riuscita ad essere. Pantelleria, da lontano, è riuscita ad essere più libera, di inventarsi, di instaurare rapporti con gli altri, ha accolto tutti, persino i pirati! In questo senso è davvero un’isola internazionale e sta a guardia di due continenti. Le storie di queste persone sono incredibili, come Rosario Cappadona, di madre lampedusana e padre maltese, che ha creato la Cooperativa Agricola Produttori Capperi, con l’unico cappero in Italia DOP. Ecco, Pantelleria è un crocevia, un’isola povera di acqua e materie prime, ma ricchissima di intelligenza.
La fortuna dell’isola è stata anche la proverbiale ospitalità…
L’ospitalità, ma anche l’apertura e la curiosità verso le cose nuove. I panteschi hanno sempre avuto un’apertura moderna verso gli altri rispetto alla Sicilia e in passato compravano già a Tunisi molte merci, come i piatti dei corredi dei matrimoni. Pantelleria è un gioco di andate e ritorni, ad esempio, lo zibibbo lo hanno portato gli arabi ma poi hanno dimenticato come si coltivava e andarono i panteschi ad insegnare loro come fare.
I panteschi sono curiosi, ospitali, attenti a quello che succede, con uno sguardo verso la terra. Sì, perché i panteschi hanno già visto tutto e stanno attenti alla propria terra, non guardano il mare, perché devono strappare al sottobosco la terra. Sono molto parsimoniosi, attenti.
Poi c’è l’isola del jet set internazionale e dei vip…
Anche in questo la si può definire un’isola internazionale, quella dei vip che fanno lì salotto. Ma, se uno vuole vivere la Pantelleria autentica, senza queste frivolezze, può stare tranquillo. È un’isola così grande che potreste girare tutto il giorno e non incontrare nessuno, tranne voi stessi.
Link per acquistare i libri di Giosuè Calaciura:
Pantelleria, l’ultima isola
Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.