Sempre più spesso vedo e sento donne che dicono di ‘sacrificarsi’ per i figli, di non uscire più, di non dedicarsi più ai loro svaghi, alle loro passioni, ai loro amici, alla loro persona, a niente che non sia i loro figli, talvolta per anni e anni.
Alcune lo dicono con una certa soddisfazione e fierezza, certe che questi sacrifici conferiscano loro una impareggiabile nobiltà d’animo e che sia un biglietto garantito per un posto in prima fila in paradiso.
Altre lo dicono con una dolorosa e sofferta rassegnazione, come se il giusto prezzo da pagare per l’immensa gioia di avere un figlio fosse necessariamente quello di vivere una vita di privazioni e sacrifici. Altre (una esigua minoranza, a dire il vero) lasciano trapelare un sottile filo di rabbia, un senso di ingiustizia che fa intuire che le poverine non sospettavano minimamente che la conseguenza del mettere al mondo un figlio fosse un tale repentino tracollo della loro vita privata e sociale. Da figlia, e ora da mamma dico a queste madri che non è un bel sentire.
Nessun figlio vuole essere il solo e unico scopo di vita di un genitore.
Nessun figlio vuole questo fardello sulle spalle. Nessun figlio vuole una madre frustrata e infelice. Nessun figlio vuole una madre ‘sacrificata’ come un agnello pasquale.
Nessun figlio vuole come modello un genitore che non sa godere della vita, che non si diverte, che non vive.
Credo che tra i doveri di un genitore ci sia proprio quello di trasmettere ai propri figli l’amore per la vita, la gioia di vivere, la libertà, l’indipendenza, la possibilità di conciliare la maternità con il divertimento. Non ho mai visto un bambino gioire vedendo una mamma triste e frustrata, mai.
Un figlio va educato alla felicità, e deve poter avere un modello di persona felice da imitare. Bisogna conoscere la felicità fin da bambini, per poterla cercare da grandi, e riconoscerla quando la si trova.
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