Abbiamo intervistato Fiammetta Borsellino, figlia minore di Paolo Borsellino sull’importanza di far rimanere alta l’attenzione sulla mafia e sulla necessità di far conoscere queste vicende alle nuove generazioni con un nuovo messaggio di speranza.
di Flavio Silvia
Oggi ricorre la giornata della legalità, 27mo anniversario dalla Strage di Capaci che vide la morte del Giudice Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo e degli agenti della scorta avvenuto il 23 maggio del 1992. In questa giornata si commemorano quelle che sono state le grandi figure istituzionali e non, che hanno fatto della lotta alla mafia la loro ragion di vita e proprio per quest’ultima motivazione sono stati uccisi. Dopo Falcone, il 19 luglio 1992 ci fu la Strage di Via d’Amelio, in cui rimase ucciso il Giudice Paolo Borsellino, che di Falcone era amico e con lui era stato protagonista del pool antimafia.
Abbiamo intervistato Fiammetta Borsellino, figlia minore di Paolo Borsellino, sul significato che hanno oggi queste ricorrenze alla luce delle domande rimaste ancora senza risposta, sull’importanza di far rimanere alta l’attenzione sulla mafia e sulla necessità di far conoscere queste vicende alle nuove generazioni con un nuovo messaggio di speranza.
Signora Borsellino, oggi ricorre il 27° anniversario dell’attentato a Giovanni Falcone, al quale seguì, il 19 luglio, quello a suo padre, Paolo Borsellino. Dopo 27 anni quanto ancora non si sa di questi attentati?
Nel 2017 c’è stata una sentenza che ha stabilito come la strage di Via D’amelio sia stata una dei più grandi depistaggi della storia giudiziaria italiana. Sono stati anni di processi, ancora oggi si sta disperatamente cercando di capire chi ha cercato per tutti questi anni l’allontanamento della verità. Non è ancora chiaro chi che sono effettivamente i mandanti di quella terribile strage nella quale perse la vita mio padre. Una delle cose che ha impedito la scoperta della verità è stata sostanzialmente una serie di indagini, di processi fatti male, anche da parte delle istituzioni, che ha avuto come effetto principale l’occultamento e l’allontanamento della verità.
Alla luce dei depistaggi emersi dall’inchiesta sulla strage di via D’amelio, secondo lei, la mafia è solo un’esecutrice, il cui mandante è da cercare altrove?
Ci sono delle indagini in corso, quindi, diciamo che non è opportuno trarre delle conclusioni. È molto probabile che ci siano state delle menti esterne a Cosa Nostra che si sono servite dell’odio che questi criminali avevano nei confronti dei magistrati. In questo senso possiamo dire che Cosa Nostra, quale mano armata, è stata “utilizzata” da chi all’esterno voleva l’eliminazione di queste persone.
Se un bambino dovesse fermarla per strada chiedendole cos’è la mafia, cosa risponderebbe?
La mafia è un’organizzazione criminale fatta di regole, di rituali. Un’organizzazione simile ad uno Stato. Ha una mentalità che si basa sull’oppressione. È una mentalità che trae le sue fondamenta da una concezione della vita come affermazione del potere.
La mafia sembra essere un’argomento che torna di moda solo in occasione di questi anniversari, sembra che si voglia far passare l’idea che sia ormai un problema risolto o per lo meno divenuto marginale. Qual è il pericolo in questo atteggiamento?
Il problema delle organizzazioni criminali, delle mafie è molto complesso, perché sono molto abili anche nel muoversi, hanno una buona capacità di organizzarsi, quindi, cedere alle semplificazioni ritenendo la mafia vinta è un’atteggiamento che fa male al contrasto alla criminalità organizzata. È un problema troppo complesso, per tanto non si deve e non si può cedere alle semplificazioni, perché quando si abbassa la guardia si può dare agio a queste organizzazioni di agire. Ed è molto pericoloso. Bisogna diffidare da tutti coloro che pensano e che dicono che vogliono delle risoluzioni, perché il problema è di una complessità tale che non è facilmente risolvibile.
Quanto è importante la sensibilizzazione delle giovani generazioni e l’inserimento di questa storia nei libri scolastici?
Far comprendere queste problematiche attraverso la storia degli uomini che l’hanno vissute è fondamentale perché la potenza criminale delle organizzazioni criminali si basa sul consenso dei giovani. Mio padre diceva sempre: “Quando le giovani generazioni le negheranno il consenso saremo avanti nella lotta alle mafie”. Questo problema si combatte con la cultura. Uno dei primi modi che hanno i giovani di contrastare la criminalità organizzata è studiare. È lo studio che ti dà consapevolezza dei tuoi diritti e dei tuoi doveri e anche di quelle che sono le proprie responsabilità. Se si ha questa consapevolezza, si è fatto già un primo passo nella lotta alla mafia.
Paolo Borsellino diceva sempre che in qualunque caso, in qualunque luogo si sarebbe dovuto parlare della mafia: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”.
Ecco parliamone…
Sono il corrispondente di Punto a Capo per la Regione Sicilia, in particolare, per l‘isola di Pantelleria. Affronto le maggiori tematiche riguardanti il mio territorio, portando le notizie siciliane anche fuori dall’isola.
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