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Pantelleria: imparare a fari cuffini e panari

di Ange­lo Fumuso

Que­st’an­no il Comu­ne ha isti­tui­to un cor­so di “Arte e tra­di­zio­ne”, per rin­ver­di­re alcu­ne tra­di­zio­ni, lega­te all’a­gri­col­tu­ra pantesca.

Come tut­ti sap­pia­mo l’a­gri­col­tu­ra è in cri­si per­ché i gio­va­ni non pun­ta­no più su que­sto set­to­re e l’e­tà media dei con­ta­di­ni pan­te­schi è di 66 anni. In quest’ottica, rin­ver­di­re e pro­muo­ve­re l’an­ti­ca arte di fare i pana­ri è sta­ta una buo­na cosa. Il mes­sag­gio è sta­to col­to e il cor­so ha avu­to suc­ces­so. Tan­te sono sta­te le doman­de di par­te­ci­pa­zio­ne, tan­to che si è dovu­to tri­pli­ca­re le scuo­le di arte e mestie­re e tro­va­re diver­si mae­stri di pana­ri isolani.

Il cor­so di cui par­lia­mo, di cui pub­bli­chia­mo le foto, è sta­to tenu­to dal mae­stro Fran­co Fer­ran­des di Kham­ma. Ogni cor­so ha otto par­te­ci­pan­ti e, come dice l’a­mi­co Gian­lu­ca, più si va avan­ti con le lezio­ni e inve­ce dimi­nui­re, gli allie­vi aumen­ta­no. Anzi, rite­nu­te poche le le lezio­ni, gli allie­vi di que­sto cor­so, han­no deci­so di anda­re a tro­va­re Fran­co ogni set­ti­ma­na per imparare.

Fari pana­ri è un anti­co mestie­re, mestie­re mol­to pra­ti­co e que­ste lezio­ne ini­zia­li sono ser­vi­te a dare una pano­ra­mi­ca teo­ri­ca di come costrui­re un pana­ro.  C’è biso­gno di fare per pro­prio con­to, di sba­glia­re cer­ta­men­te e tan­to per arri­va­re al risul­ta­to fina­le di fare un pana­ro accet­ta­bi­le.  Come si dice, biso­gna cade­re mil­le vol­te e  mil­le vol­te vol­te anco­ra per impa­ra­re a camminare.

Tan­te tra­di­zio­ni si stan­no per­den­do tra cui que­sta anti­ca arte lega­ta all’autosufficienza e all’in­ge­gno iso­la­no di costruir­si gli attrez­zi del mestie­re, del lavo­ro, tra cui fari i pana­ri e i cuf­fi­ni.  Ho nota­to che il  modo di fare i pana­ri a Pan­tel­le­ria è uni­co in Ita­lia.  È mol­to dif­fe­ren­te da quel­lo Sici­lia­no e da quel­lo Noce­ri­no, tra quel­li più famo­si e imi­ta­ti. Infat­ti da noi, la costru­zio­ne del fon­do avvie­ne con 16 Vir­ghe che costi­tui­sco­no quat­tro cro­ci bloc­ca­te dal pri­mo pas­sag­gio da due Vir­ghe di cui una a cap­pio, e poi da tre ver­ghe che si intrec­cia­no tra di loro. 

Men­tre nei model­li fuo­ri del­l’i­so­la vie­ne costi­tui­ta diver­sa­men­te:  le pri­me quat­tro can­ne sono spac­ca­te cen­tral­men­te e le altre quat­tro can­ne, si inse­ri­sco­no in que­sta fen­di­tu­ra. Poi la Vir­ga inco­min­cia a tes­se­re ed espan­de­re le can­ne che diven­ta­no a rag­gie­ra. Poi si inne­sta­no le vir­ghe che andran­no a costi­tui­re l’os­sa­tu­ra del panie­re e dei manici. 

Inve­ce nel model­lo pan­te­sco, l’os­sa­tu­ra del panie­re è pre­sen­te fin dall’inizio e da più robu­stez­za al panie­re e ai cesti, che ricor­dia­mo han­no, come prin­ci­pa­le sco­po, quel­lo di esse­re dei con­te­ni­to­ri capien­ti, for­ti e  capa­ci  di sop­por­ta­re il peso del­la rac­col­ta del­la ven­dem­mia fino a sup­por­ta­re i cin­quan­ta chi­li. Insom­ma, comu u scec­cu pan­ti­sco, le cose costrui­te sul­l’i­so­la sono for­ti e resistenti.

Abbia­mo inter­vi­sta­to il mae­stro cesta­io, Fran­co Fer­ran­des per capi­re da lui meglio, que­sto anti­co mestiere.

Allora Franco, puoi  iniziare a descrivere quello che stai facendo ?

Allo­ra, sto costruen­do un cesti­no. Un cesti­no è com­po­sto dal­le” vir­ghe”, così si chia­ma­no a livel­lo pan­te­sco, e sono rami di albe­ri d’ulivo, che sono mol­to fles­si­bi­li e si adat­ta­no benis­si­mo per la costru­zio­ne del cesti­no. Ades­so vie­ne com­po­sto il fon­do, costi­tui­to da un incro­cio con 16 e 16, 32 vir­ghe, che sal­go­no per tene­re tut­to il cesti­no o il pana­ro quel che sia; insom­ma, costi­tui­sco­no lo sche­le­tro del pana­ro. Dopo, que­sto fon­do si richiu­de e una vol­ta richiu­so si tes­se con le can­ne che por­ta­no a sol­le­va­re que­sto cesti­no por­tan­do­lo a una ven­ti­na di centimetri.

Quin­di arri­va­ti a que­sta altez­za, si fa un cor­do­ne del­le stes­se vir­ghe che par­to­no dal fon­do e risal­go­no il pri­mo cor­do­ne. Poi vie­ne attor­no fat­to que­sto secon­do cor­do­ne di fis­sa­zio­ne per ulti­ma­re il panie­re che può esse­re sen­za il mani­co o può esse­re con del­le orec­chie, oppu­re in ulti­mo, può esse­re sen­za nes­su­na cosa. Si pos­so­no fare tan­ti altri model­li a secon­do l’i­dea che uno ha di quel­lo che deve costruire.

Chi ti ha insegnato quest’arte?    

A me han­no inse­gna­to, quan­do ero da pic­co­lo, i miei geni­to­ri e prin­ci­pal­men­te mio padre.  Poi suc­ces­si­va­men­te, mi sono fidan­za­to ed è capi­ta­to che anche mio suo­ce­ro sape­va fare i cesti. Ho cer­ca­to di ruba­re il mestie­re, un po’ da uno e un po’ dall’altro, cer­can­do di costrui­re pia­no pia­no un mio sti­le, par­ten­do dai difet­ti e dai pre­gi dei miei due mae­stri. Que­sto lavo­ro arti­gia­na­le  è ormai al tra­mon­ta­to e nes­su­no più si impe­gna a voler­lo fare. Sia­mo rima­sti in pochi a far­lo! È un lavo­ro che deve nasce­re dal­l’in­ter­no,  altri­men­ti non con­vie­ne nem­me­no met­ter­ci le mano.

Quanto tempo ci mette per realizzare un paniere?

Non si può cal­co­la­re un tem­po pre­ci­so, per­ché pri­ma si fa la pre­pa­ra­zio­ne del­le vir­ghe, poi il lavo­ro del­le can­ne. Pulir­le tut­te e siste­mar­le, met­te­re il tut­to pron­to e poi par­ti­re a costrui­re que­sto bene­det­to cesti­no. In un pome­rig­gio è pos­si­bi­le anche ulti­mar­lo, a meno che che non sia un cesti­no mol­to gran­de o un panie­re mol­to gran­de, però dicia­mo nel­l’ar­co del­la gior­na­ta si può fare benissimo.

70 o 80 anni fa, era una neces­si­tà fare un cesto di 50 kg per met­ter­ci l’u­va den­tro. Per­ché allo­ra non era come oggi che con la mac­chi­na ci si spo­sta in un nego­zio e si va a pren­de­re del­le baci­nel­le di pla­sti­ca, dei vaci­li e tut­to il resto. Apri il por­ta­fo­glio e compri.

Allo­ra era neces­sa­rio anda­re a rac­co­glie­re que­sto mate­ria­le e riu­nir­si in 4, o 5 per­so­ne e col­la­bo­ra­re. Ognu­no di loro ave­va un com­pi­to spe­ci­fi­co: chi puli­va le can­ne, chi puli­va le vir­ghe, chi mon­ta­va il fon­do, chi face­va il cor­do­ne. Ulti­man­do i cesti­ni, que­ste quat­tro cin­que per­so­ne se si divi­de­va­no tra di loro. Nel­l’ar­co del­la gior­na­ta, o di due gior­na­te, o anche di tre gior­na­te si face­va­no 5, o 6 o 7 cuf­fi­ni e poi se li divi­de­va­no due cia­scu­no per anda­re a taglia­re in cam­pa­gna per rac­co­glie­re l’uva.

Ma si potevano riparare?

A secon­da del dan­no che ave­va­no, per­ché se non vale­va la pena, c’e­ra trop­po tem­po da per­de­re per ripa­rar­lo, con­ve­ni­va far­ne uno nuo­vo, che non anda­re a siste­ma­re quel­lo che ormai era perso.

Quin­di appun­to per que­sto, era una neces­si­tà anda­re a fare i cesti, così come anda­re ad impa­ra­re. Ora che sia­mo tut­ti vec­chi e i gio­va­ni non ven­go­no più in cam­pa­gna, quest’arte assie­me a tan­ti altri inse­gna­men­ti rischia di anda­re tut­ta perduta.

Allo­ra giu­sta­men­te ser­vi­va quest’arte, per que­ste neces­si­tà di costruir­si gli attrez­zi di lavo­ro che era­no impor­tan­ti per la ven­dem­mia del­l’u­va. Essen­do la nostra ter­ra un’i­so­la, c’era biso­gno di indu­striar­si per fare tut­to. Si face­va di tut­to e si uti­liz­za­va tutto!

Ma oggi che che la cam­pa­gna non è più pro­dut­ti­va come una vol­ta, c’è il rischio di esse­re tut­to abban­do­na­to e tut­ti que­sti mestie­ri, tut­te que­ste arti di morire.

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