Marilena Barbera delle Cantine Barbera e Presidente della FIVI SICILIA (Federazione Indipendente Viticoltori Italiani) ha commentato l’articolo del Gambero Rosso del 9 luglio a firma di Loredana Sottile che parla delle unità geografiche aggiuntive su cui stanno puntando sempre più Consorzi di vini in Italia.
Tenendo a mento il caso del Consorzio Tutela del Vino Doc di Pantelleria che vuole apporre invece ad una unità geografica già ben delineata e riconoscibile, una dicitura più generalista quale ‘Sicilia’, appare chiaro come questa decisione sia in controtendenza anche a livello nazionale. Dopo la petizione online firmata dopo nemmeno 24 ore da quasi 500 persone (FIRMA QUI) per dire NO a questa decisione del Consorzio, l’articolo della Sottile assume un’importanza ed un interesse particolare per il caso Pantelleria. Lo svilimento del prodotto locale e la sua mercificazione, con un chiaro riferimento al caso di Pantelleria, anche se mai apertamente citata, sono al centro della sua critica, da leggere con attenzione.
Ecco quello che afferma Marilena Barbera:
Un bel lavoro quello di Loredana Sottile sul Gambero Rosso di stamattina.
Si parla di CRU, in Italiano MGA o UGA (se gli dessimo anche un acronimo migliore tutto sommato non sarebbe male).
Una strada percorsa da alcuni Consorzi che tutelano vini di grandissima qualità e riconoscibilità: Barolo, Barbaresco, Diano d’Alba, Soave, Conegliano Valdobbiadene (sì, proprio quello del riconoscimento Unesco, che è il punto di arrivo di un percorso di valorizzazione che parte da molto lontano).
Una scelta che altri Consorzi di tutela stanno valutando, Castelli di Jesi e Chianti Classico in testa, proprio perché “l’unica via possibile per differenziarsi è radicarsi ancor di più nel proprio territorio. Al contrario del vitigno o della tecnica di produzione, l’unica cosa che non può essere replicata altrove è, infatti, l’appartenenza al proprio territorio. Ed è, quindi, l’unico parametro che può aggiungere valore”.
Uno quindi pensa che anche in Sicilia, dove esistono tanti territori con caratteristiche ben distinte, questa sia la strada più logica e più efficace per valorizzare le piccole produzioni speciali, quelle talmente particolari e talmente non replicabili che ci vuole veramente poco per farlo capire al consumatore dedicandosi ad una valorizzazione decisiva e sensata.
Uno quindi si aspetta che le modifiche ai disciplinari vadano nella direzione, che ne so, per esempio di eliminare i vini meno pregiati, come quelli addizionati di alcol: per esempio lo zibibbo liquoroso, che si vende a due lire nei supermercati, è un prodotto di bassa qualità (qualcuno non a caso lo paragonò al limoncello industriale o
al Marsala all’uovo) e oggi sta soffrendo le pene dell’inferno perché il consumatore non è stupido come pensiamo, e preferisce bere meglio che in passato.
Oppure un’altra cosa che uno si aspetta è che una piccola DOC storica con una produzione minuscola venga trasformata in una DOCG, proprio per contare, attraverso le fascette numerate, le bottiglie prodotte in quel territorio, evitando più efficacemente le contraffazioni e le contaminazioni che possono “capitare”.
E soprattutto possono capitare quando da una piccola isola il vino può essere legittimamente trasportato su nave fino ad un impianto di imbottigliamento che si trova casualmente fuori dall’isola.
Uno si aspetta tutte queste cose, e invece no.
Quello che succede invece è che la piccola DOC continua a fare vino alcolizzato però gli cambia il nome, in ossequio alla prima legge del Neuromarketing, che recita: il vino mediocre lo vendi meglio se gli cambi l’etichetta e gli metti addosso una bottiglia bella pesante.
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