La vicenda della strada del Lago e della protesta di Battista Belvisi ci devono far riflettere sul concetto di unità e di comunità pantesca.
Pantelleria è un’isola ed è sola.
Tocca ai panteschi difenderla. Insieme.
L’Editoriale di Francesca Marrucci
La vicenda della strada del Lago di Venere che ha tenuto banco nei giorni scorsi, anche grazie alla protesta di Battista Belvisi, dovrebbe farci riflettere sul significato di comunità e di unità.
In un’isola come Pantelleria ci si conosce tutti, si sa un po’ tutto di tutti e quello che non si sa lo si inventa, eppure su delle cose così importanti che gravano sul quotidiano di tante persone, in pochi pareva sapessero effettivamente cosa stesse succedendo: sul perché la strada fosse ancora chiusa, sul perché fosse stato fatto il ricorso al Tar, sulle responsabilità dell’amministrazione comunale… Ho sentito io stessa fantasiose versioni che non hanno aiutato certo a risolvere il problema.
Eppure il messaggio di Battista Bevisi con il suo sciopero della fame era ben chiaro: un richiamo all’unità, all’umiltà come mi ha specificato lui stesso, alla dignità e alla responsabilità collettiva. Il suo rammarico che non solo Pantelleria, ma la società tutta, fosse più concentrata al ‘mors tua, vita mea’, era palese per chi volesse ascoltare le sue rare, ma preziose parole o osservare la sua muta protesta. Logicamente, in un ambiente ristretto come l’isola, la necessità del mutuo supporto è più forte e dovrebbe essere considerata una priorità, eppure non sempre questo meccanismo scatta automatico.
Di fronte ad un problema che vedeva tutte le realtà di Pantelleria parti lese allo stesso modo, c’è stato anche qui chi ha pensato prima a sé stesso che alla situazione nel suo complesso.
Di fronte ad un gesto esemplare e di coraggio come quello di Battista, i gesti avventati e penalmente perseguibili di chi ha spostato i massi sulla strada fanno una ben meschina figura. Anche Battista poteva fare un gesto disperato o avventato, ma avrebbe probabilmente lasciato il tempo che trovava. Ha scelto invece l’intelligenza e la sensibilità e ha prodotto una piccola rivoluzione. Tutti sono rimasti coinvolti nel suo gesto, panteschi, turisti, spettatori, amministratori.
Ecco, Battista ha saputo ricreare un legame nella comunità che si stava dividendo in stupide fazioni, persino mettendo in mezzo i fenicotteri, e questo è il suo insegnamento più grande.
È forse il tempo, per i panteschi, di abbandonare definitivamente la filosofia del minnifutto che ha portato solo a permettere lo sfruttamento di questa magnifica terra da parte di chi ne usa risorse e nome senza rispetto alcuno, forte della disponibilità dei suoi abitanti che spesso si confonde con la passività.
I panteschi meritano di più, ma senza essere uniti non avranno mai giustizia. Non ce lo insegna solo la vicenda della strada, ma anche la vicenda del Pantelleria Doc. In troppi preferiscono stare in finestra a guardare per poi decidere dove buttarsi, ma questo aiuta solo chi approfitta senza scrupolo né rispetto alcuno di questa debolezza.
È quasi un paradosso che gente tanto generosa, ospitale, con un cuore tanto grande sia così disponibile con gli altri e poi non riesca ad unirsi sulle grandi questioni che la riguardano e che possono determinare il futuro stesso dell’isola. Forse l’unità coatta di un confine cinto dal mare suscita un moto di ribellione, ma questo viene applicato nei contesti sbagliati.
Quanto forte e potente può essere la comunità pantesca unita per difendere la propria terra, i propri interessi, le proprie tradizioni, la propria cultura?
Quella stessa forza, foga, orgoglio, dignità che ogni singolo pantesco esprime nel parlare dei suoi prodotti, dell’isola, delle feste, della sua storia, moltiplicata per ognuno potrebbe essere amplificata e usata come arma per dimostrare che Pantelleria è una comunità compatta e resiliente, per niente rassegnata, ma decisa a far valere i suoi diritti e le sue ragioni.
E invece, gli interessi e gli egoismi individuali ancora prevalgono e succede che ad una domenica per pulire l’isola si presentino più turisti che panteschi e torna, come un ritornello stonato, l’accusa che spesso i visitatori tengono a Pantelleria più che i panteschi stessi.
Io non credo sia così.
Forse ormai molti panteschi sono immuni a tanta bellezza che li circonda e ne subiscono meno il fascino di chi arriva sull’isola, ma amano profondamente la loro terra e la difendono, sempre a modo loro. Il messaggio di Battista è quello di far capire che insieme, uniti, il fardello è minore e si portano a casa più risultati. Che in taluni casi il mal comune non sarà mezzo gaudio, ma è un primo decisivo passo verso la soluzione.
Non vorrei più sentire panteschi sminuire la propria possibilità di essere comunità coesa con frasi come: ‘Se fossimo a Lampedusa saremmo scesi tutti in piazza…’, perché l’occasione di scendere in piazza c’è stata con la questione del Doc, ci sarà per altre questioni e non ci saranno più scuse, né alibi.
Non si può sempre demandare a terzi la risoluzione dei problemi, non si può aspettare sempre che l’amministrazione risolva anche quando non è direttamente responsabile, ma soprattutto bisogna essere vigili, presenti, coesi e uniti nel manifestare le proprie richieste, non aspettare che altri lo facciano per noi, perché demandare le responsabilità poi significa perdere il diritto a lamentarsi e subire le decisioni altrui.
Pantelleria è sola più di quanto non creda e non solo perché è un’isola ed è lontana.
Spesso è confusa con Lampedusa, per altro, dagli stessi siciliani. Mi ha fatto male, anche se non sono pantesca, ma con tutto l’amore che nutro per questa terra e la sua gente, leggere i commenti di alcuni siciliani sul nostro post che riguardava la vicenda della strada del Lago.
Un tale Francesco Russo ha scritto: ‘Le risposte dovete aspettarle dal ministro dell’interno prima e dal governo poi, se, per risposte intendete soldi. I siciliani non vogliono spendere soldi per il vostro essere accoglienti. Volete essere accoglienti? Pagate di tasca vostra. Che bello essere accoglienti con la tasca degli altri!’
Ora a parte il fatto che il signore ha evidentemente confuso Pantelleria con Lampedusa e non ha capito il nodo della questione, a parte il fatto che il suo e i commenti simili al suo non rappresentano né la Sicilia né l’Italia intera, è indubbio il fatto che quel famoso ‘mors tua, vita mea’ che Battista Belvisi temeva, impera ovunque e un’isola non può permettersi di affrontarlo divisa.
I panteschi devono rialzare la testa, prendersi per mano e soprattutto devono esserci. Non serve urlare e fare piazzate, Battista ce lo ha dimostrato. Basta la presenza, l’unità e la volontà.
Alzando la testa i panteschi la offrono al sole e al vento.
E quella è l’isola. Lei c’è.
Ora mancano loro.
Foto di Tommaso Brignone
Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.