Questa è la storia di un autismo, di un autismo vero.
E’ il volto peggiore dell’autismo, quello che soltanto di rado i rotocalchi e le televisioni mostrano.
Un autismo che non brilla per genialità e che di eccezionale non ha nulla se non una donna.
19 Ottobre 2019.
Siamo a Mugnano, in provincia di Napoli. Sono le 7 di sera. Antonella è in casa, ma si sta preparando per uscire.
Improvvisamente un boato, un rumore. Il cuore di Antonella fa un balzo, anticipando come solo una madre sa fare, ciò che ancora gli occhi non hanno visto.
Antonella è una donna solare, radiosa. Gli anni, le preoccupazioni, le vicissitudini non le hanno rubato la voglia di vivere e il desiderio di essere felice. Antonella è una madre. La madre di Rosario, di Veronica. Ma soprattutto Antonella è la madre di Simone.
Prima ancora di essere Antonella, è la madre di Simone.
Vivere la disabilità di un figlio è vivere una rivoluzione. Tu, donna, madre, non sei più tu. Esisti in funzione di colui per il quale non sei solo un genitore. Colui per il quale sei tutto. Sei assistenza, sei rinforzo, sei ponte con il mondo, punto di riferimento, prolungamento di corpo e anima.
Tutto, fino a non essere più tu.
Antonella è la mamma di Simone ed ogni giorno combatte contro quel mostro spietato che ha portato via loro ogni istante, ogni centimetro di vita.
Perché la disabilità di un figlio è disabilità tua, che porti addosso e nell’anima.
Perché un figlio autistico ruba persino il tuo essere donna.
Antonella è sola: il padre dei suoi figli era già andato via, prima di Simone, prima dell’autismo. Era già andato via, insieme alle speranze di una vita “normale”. E non è più tornato, neanche dopo.
In ogni famiglia autistica, ogni cosa, anche la più semplice e, per i più, banale, è strappata, rubata al mostro che divora ogni normalità.
Perché l’autismo non è un plus, non è un prodigio. L’autismo vero è fingere che tutto vada bene quando vorresti solo scappare via. Ma non puoi. Perché quel figlio è tuo, lo ami e lo odi profondamente fino a non sentire più la differenza tra questi sentimenti di natura opposta ma entrambi intensi e radicali.
Antonella da sola porta avanti la sua famiglia. I ragazzi crescono e anche Simone conquista una certa stabilità, una certa serenità nelle sue routines, così importanti per lui da tenere in piedi il suo equilibrio.
Ad un certo punto, però, qualcosa si spezza. L’equilibrio si rompe e Simone sprofonda in un baratro profondo, trascinando con sé Antonella ed i suoi fratelli. Simone sta male, Simone cambia. Non è più il ragazzone sorridente e socievole che la piccola comunità locale aveva imparato ad amare. Simone si chiude in sé stesso e, incapace di esprimere a parole il suo malessere, lo sfoga sulla madre, la persona che più ama al mondo.
Antonella conosce il periodo più buio dell’autismo di Simone, fatto di botte, di aggressioni, solitudini ed impotenza. Anche le routines di Simone, così importanti per lui, le sue terapie, i suoi spazi sociali, si annullano perché travolti da questo cambiamento.
In questo inferno che è diventata la loro vita, Antonella non smette mai, neanche per un attimo, di cercare di aiutare Simone, di tentare di comprendere le cause di questo cambiamento, di trovare soluzioni.
La situazione peggiora ed arrivano anche i farmaci, quelli che sempre Antonella aveva tenuto lontano dal figlio, quelli che però adesso sono necessari per tentare di “contenerne” i comportamenti eccessivi, quelli che però spengono la vitalità ed il sorriso in Simone.
Antonella si dispera, sola e prigioniera impotente di qualcosa che non sa più come gestire: 24 ore continue con un figlio che non riesce più ad aiutare e che si sforza comunque ogni giorno di amare.
Anche il centro di riabilitazione locale, unica possibilità di offrire a Simone le necessarie terapie occupazionali e qualche ora da trascorrere fuori casa, così importante sia per lui che per la madre, rischia di chiudere i battenti.
Tanta sofferenza. Tanto silenzio.
Ma la sera del 19 Ottobre scorso, questo silenzio viene spezzato da un rumore secco e forte.
Un tonfo al cuore.
Simone cade dal balconcino di casa, in preda ad una crisi epilettica. Cade giù. Antonella terrorizzata si affaccia tremando e se lo vede lì: tutto il suo amore, tutta la sua vita offerta e sacrificata. Tutto è piombato giù da qual balcone.
Un boato che scuote la piccola comunità ed anche i mass media.
Perché Simone ce l’ha fatta. Simone non è morto. E’ caduto e si è rialzato. Simone è vivo.
Ma il boato del suo corpo sull’asfalto rimane un monito per tutti noi, per la comunità locale, per le istituzioni.
Non si può abbandonare così una donna, una famiglia.
Simone ha bisogno di vivere luoghi e tempi adeguati ai suoi bisogni, Antonella ha bisogno di non sentirsi sola. Rosario e Veronica hanno diritto di crescere sereni.
Perché la disabilità non si sceglie, non è un premio né una punizione. Arriva ed è la tua, profondamente tua.
E il boato del corpo di Simone caduto giù, è qualcosa che deve riguardare, interessare ed impegnare in prima persona tutti noi e le istituzioni… Sopratutto quelle statali.
Perché tutto questo dolore possa diventare concretamente possibilità di vita… forse e finalmente!
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