Il risultato ottenuto grazie all’intervento dell’Assessore Antonio Gutterez in aula. Gutterez: “Finalmente anche Pantelleria può…
Il caso delle malvasie e l’importanza della tutela identitaria dei vini
10/11/2019LA STORIA AFFASCINANTE DELLE UVE E VINI “APIANAE”, COSI’ CHIAMATI DAI ROMANI
SONO OGGI LE UVE-VINI “MOSCATI-MALVASIE” – L’EMERITO PROFESSOR FREGONI È CHIARO: “SONO STATI I VINI PIU’ GRADITI E COSTOSI PER 500 ANNI NELLA REPUBBLICA SERENISSIMA DI VENEZIA. SONO VINI DALLE GRANDI POTENZIALITÁ, MA HANNO BISOGNO DI UNA FORTE TUTELA IDENTITARIA TERRITORIALE E DI UNICA IDENTITÁ TIPOLOGICA”
di Giampietro Comolli
I vini (ancor più che vitigni e uve) denominate Malvasie sono una invenzione della Serenissima di Venezia.
Le tutt’ora esistenti e ancora vive “calle Malvasia” sono una testimonianza importante: un grande esempio anche di valorizzazione e protezione commerciale e dal valore aggiunto.
Erano “osterie” molto particolari, frequentate dal popolo, dai marinai, ma rifornivano anche le pregiate cantine aristocratiche con la qualità migliore. Fino al 1600 era il vino più diffuso in tutta la Repubblica Serenissima. Ma non esisteva allora, ma neanche 1000 o 3000 anni prima, l’uva denominata Malvasia o il vitigno.
Il nome deriva dal porto greco di Monenvàsia, base commerciale della flotta veneziana utilizzata sin dal XI secolo per stivare i “vini”, solo dolci (i più graditi all’epoca perché energetici e perché duravano nel tempo e facilmente allungabili), ottenuti da un mix di molte varietà, di molte uve, di vini bianchi diversi. E Venezia li commercializzava in tutto il Mediterraneo. Questo è quanto scrivono grandi ricercatori, docenti, professori italiani, europei americani, almeno 99 su 100. C’è sempre chi va alla ricerca di una visibilità personale e ricorre ad altre ipotesi, spesso senza bibliografia.
Le varietà di Malvasia non esistevano, non erano conosciute all’epoca. Il porto di Monenvàsia divenne piccolo, per cui la flotta veneziana prese possesso dell’isola di Candia, sinonimo antico di Creta, dove non sono mai state coltivate varietà di Malvasie.
Il fiorente commercio dei vini indusse il Doge a sopprimere la differenza fra le Malvasias di Monenvasia e i “cretici” dell’isola di Creta. Persa l’isola di Creta, occupata dai turchi nel 1669, i veneziani furono costretti a cercare vini di Malvasie nei Paesi cristiani. Per rispondere alla domanda pressante dei commercianti (Ah!), in Italia, Spagna, Portogallo, Francia si battezzarono, a piacere, oltre 50 varietà di uve bianche e nere, aromatiche e neutre, che potessero sembrare “malvasie” o come diceva già qualcuno “moscati diversi”.
I vitigni di Malvasia vennero descritti dai primi ampelografi solo all’inizio dell’‘800 e non fu facile, prendendo anche spunto da testi antichi come quelli di Magone, Plinio, Columella. Fatto sta che oggi in Italia sono coltivati 17 vitigni-uva di Malvasia, simili ma non uguali, spesso anche con nessuna parentela diretta: ci sono ipotesi di provenienza africana, altre di origine greca… quindi due “percorsi” storici completamente diversi.
La più piccola entità, come produzione e presenza sul mercato, è una Malvasia Rosa, frutto di una retro-mutazione del 1967 di una pianta in un vigneto di Malvasia di Candia aromatica bianca trovata casualmente da mio padre Giuseppe che era un docente di agronomia e coltivazioni e direttore dei Molini degli Orti-Consorzio Agrario di Piacenza. Le barbatelle ricavate furono selezionate e seguite per 30 anni dal prof. Mario Fregoni, direttore dell’Istituto di Viticoltura della Cattolica di Piacenza e uno dei più grandi esperti “viticoli” delle uve “apianae”, finché non si ottenne una “stabilità” genetica certa. Questo a dimostrazione di come la natura e la genetica abbiano molto in comune e come certe variazioni siano naturali. Quindi né Grecia né Creta sono i luoghi di origine geografica.
M.me Kourakou, greca, grande esperta e scrittrice di libri diceva che “le Malvasie non esistono”, intendendo dire che il nome assegnato volgarmente dai veneziani indicava solo “da quale porto commerciale” si caricavano le anfore, le botti di vino con destinazione Venezia. Poi da Venezia prendevano tutte le vie dei mercati possibili. I libri storici-economici della Serenissima erano arrivati a quantificare il valore (il PIL di allora) per la repubblica di solo questo commercio: circa il 20% del totale per diversi decenni.
Al tempo dei romani, i vini moscati (non uve o vitigni) erano denominati “Apiane”, perché attiravano le api per la ricchezza di zucchero. Le più recenti analisi del DNA di molte uve e vini di varietà “malvasia” a cura di diversi istituti di ricerca, danno qualche certezza scientifica sull’origine: il progenitore più antico è il Moscato di Alessandria d’Egitto che avrebbe dato origine al Moscato bianco, genitore di una Malvasia “odorosissima”, ma anche avrebbe originato la Malvasia di Candia aromatica.
Stessa cosa è capitata ai vari “moscato”, fratelli consanguinei. Stessa storia della Malvasia di Candia la ritroviamo nello Zibibbo di Pantelleria, che molto probabilmente era anche chiamato Moscato di Zibib o di Zibibbo, proprio come Malvasia di Candia, dove Candia sta per l’isola di Creta, luogo da dove proveniva il vino non i vitigni. Solo alla metà del XIX° secolo si fa chiarezza ampelografica sui vitigni e uve con una chiara classificazione e quindi le Malvasie e i Moscati diventano vitigni che originano i vini omonimi. Ma per millenni non è stato proprio così.
Laurea in agraria e in economia politica agraria, master in gestione e marketing di imprese agroindustriale, economista del vino, giornalista, enologo, accademico della vite e del vino, degustatore per guide, docente a progetto in marketing prodotti Dop, esperto di consorzi di tutela Doc-Dop. Oggi dirige l’Altamarca Trevigiana, terra di grandi prodotti Docg, Doc e Dop, una agenzia di attrazione e sviluppo di marketing territoriale e segue l’Osservatorio Economico dei Vini Effervescenti-OVSE. Interessato alla scuola artistica di Barbizon, giocatore di golf, anche appassionato di cucina e di ricette del territorio.