Diego Maggio e Paolo Codeluppi autori del libro “Conosci tu il paese dove…”, strofa iconografica dell’isola di Pantelleria. Ottimo per stimolare un viaggio all’isola pantesca
di Giampietro Comolli
È stato un momento di bella e grande cultura e amicizia leggere il libro, l’ultima fatica momentaneamente, dell’amico avvocato Diego Maggio, scritto insieme a Paolo Codeluppi e dedicato all’isola di Pantelleria, ma in una chiave con un linguaggio che rende la “Perla Nera” del Mediterraneo non solo una meta turistica obbligata, ma un luogo dove rilassarsi alla brezza marina, dove si mangia bene e dove si può fare meditazione con un calice di Zibibbo Passito Pantelleria Doc, come è giusto chiamarlo o denominarlo, e basta!
Il mio primo incontro con Pantelleria è stato nel 1987 con una degustazione-confronto di vini passiti italiani a Bergamo nella casa-mito-studio-laboratorio-biblioteca-passioni di Gino Veronelli. Indimenticabile.
Con me il compianto amico Francesco Arrigoni, i grandi giornalisti Franco Ziliani, Niki Stefi, Elio Ghisalberti.
Fu una lezione fondamentale per capire i “vini da meditazione”, copyright dello stesso Gino. Erano gli anni della rivista Etichetta, oggi rinata con il brand Bubble’s di Zanfi editore. Una Pantelleria diversa, dove si mangia benissimo, l’accoglienza è incredibile, i dammusi uno splendore, come quello di Mariano Rodo e I Giardini dei Rodo a Rekhale oppure da Nino e Andreina all’Altamarea a Scauri porto.
“Crediamo, infatti, che il raccontare con immagini la vita che scorre nei mille paesi di questo nostro unico Paese sia il regalo più cordiale nei confronti di coloro che amiamo e dei luoghi in cui viviamo per il solo fatto che alimentano il nostro lavoro quotidiano”.
In questo incipit testuale del libro di Diego e Paolo ci sta tutta una vita, non solo di uno dei luoghi più belli del Mediterraneo, ma l’amore per il bello, il gusto, l’amicizia, la passione, la propria terra, quella che si ha dentro, quella che si costruisce per tutta la vita.
Sono amico dell’avvocato Diego Maggio dagli anni 1987–88, quando studiavamo, io al nord per il Consorzio Colli Piacentini Doc e l’Enoteca di Dozza in Romagna e lui per il Consorzio Marsala Doc, come creare una nuova Federazione nazionale di Consorzi di tutela, espressione della vera “interprofessione”, non un coacervo di interessi, o una sede per costruire un monopolio o una corporazione.
Oggi, 2019, mi sembra di aver sudato, lavorato per nulla, ma forse ne ha guadagnato il vino Doc italiano, meno la libertà organizzativa, la gestione consortile, la progettualità. Fu un momento educativo e didattico di come poche parole, tante immagini, possono essere motore di dialogo, una forte illustrazione verbale ricca di cose, fatti, personaggi, luoghi, ben oltre e ben sopra ai cinguettii tecnologici oggi così in voga, ahimè!
Leggendo il libro sull’isola pantesca, unica degna di fregiarsi e unica deputata a usare il termine speciale “Zibibbo” per il proprio vini passito, anche detto Moscato di Pantelleria, ho respirato profumi e gusti del Mediterraneo, ho ascoltato il racconto del migrante con sé stesso, il ritorno al cuore o al seno materno di un’isola incantata, quello che insegna e distribuisce la famiglia e il lavoro umile piegati su una terra difficile e impervia, il buen ritiro e quella giovinezza a scuola fra amici, l’architettura unica di colori forme e modi di vivere anche a cielo aperto, fra citazioni dialettali e assaggi culinari di nicchia, emblemi del paniere della sempre più sana dieta alimentare Mediterranea, esclusivamente dal cappero allo zibibbo.
Sì, perché Pantelleria è uva ancora con piede franco e distese di colorati fichi d’India, fiori gialli ovunque e piccoli campi terrazzati con alberelli, nelle cucine le zucchine fritte e la pasta al forno, la conza e gli gnocchi della nonna, e tanto profumo di mandorle nell’aria.
Il racconto vive un breve dialogo fra un polentone e un pantesco, quanto Treviso e Zighidì siano vicini, siano uniti con il linguaggio dell’amore femminile della propria terra, piccola o grande, ricca o povera, impegnata e disimpegnata.
Il linguaggio diretto e sintetico di “Conosci tu il paese dove…” è accompagnata da tante immagini che sono proprio il contrario di Instagram e di Pinterest, perché puntano al dettaglio del dettaglio, dentro il soggetto e non solo una immagine che attiri. Sono immagini che parlano da sole. Un racconto legato da immagini, amore, terra, fantasia, fra dammusi e archi, fra maioliche e bounganville, che accompagnano il tempo lento che si gode sull’isola del vento.
Muretti a secco che frangono il vento, giardino circolare pantesco, vitigno di Zibibbo, tutti attori emblematici, icone eterne che placano lo scirocco dell’isola patrimonio dell’Umanità e che accolgono da sempre naviganti, senza distinzioni di origine, di provenienza, ma con carattere fermo, deciso.
Questo è quanto l’amico Diego è riuscito a trasmettermi, per riflettere, per capire. Da un “polentone” come me, grazie Diego “pantesco”, per questo tuo saggio esempio di amore e fantasia di un immortale rifugio ideale, scrigno e cassaforte di un genius loci per lo Zibibbo.
Laurea in agraria e in economia politica agraria, master in gestione e marketing di imprese agroindustriale, economista del vino, giornalista, enologo, accademico della vite e del vino, degustatore per guide, docente a progetto in marketing prodotti Dop, esperto di consorzi di tutela Doc-Dop. Oggi dirige l’Altamarca Trevigiana, terra di grandi prodotti Docg, Doc e Dop, una agenzia di attrazione e sviluppo di marketing territoriale e segue l’Osservatorio Economico dei Vini Effervescenti-OVSE. Interessato alla scuola artistica di Barbizon, giocatore di golf, anche appassionato di cucina e di ricette del territorio.