FIVI A PIACENZA, 23 NOVEMBRE PRIMA GIORNATA BOOM DI INGRESSI AL MERCATO DEI VINI
ANTONIO GABRIELE, PRODUTTORE DI PANTELLERIA DOC UNICO RAPPRESENTANTE IN FIERA DELLO ZIBIBBO DI PANTELLERIA
IL MERCATO DIRETTO ATTIRA MIGLIAIA DI PERSONE. TANTI CARRELLI DELLA SPESA FRA I 626 BANCHI
di Giampietro Comolli
Nove anni fa, erano meno di 250, oggi sono 626 le cantine associate a FIVI, Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, presenti a Piacenza per il Mercato dei Vini. Un appuntamento annuale che convoglia a Piacenza, in tre giorni (quest’anno anche il lunedì per soddisfare richieste da operatori e ristoratori), circa 20.000 appassionati, veri clienti che acquistano.
Molti amici giornalisti presenti al FIVI-Italy, come mi sono permesso di battezzare l’evento piacentino, hanno evidenziato il successo di una manifestazione, sempre in crescita, che rappresenta una occasione, economica anche, molto interessante del mondo del vino italiano verso il consumo ed il consumatore italiano, forse l’unico in sintonia con le domande del mercato interno, in linea con una strategia vincente e utile. Contro vari detrattori e poco lungimiranti pensatori.
Mi ha fatto piacere incontrare a Piacenza e parlare con Michele Zanardo, presidente del Comitato Nazionale Vini che era impegnato a confrontarsi con diversi produttori. Ottimo: il dialogo con i produttori è indispensabile per sapere e capire le motivazioni di tante richieste, prese di posizione, motivandole e sostenendole soprattutto quando si parla di “tutela e disciplinari” che non sono strumenti “commerciali per vendere”, ma sono norme di rispetto e di diritto “del territorio, delle vigne”.
Certo FIVI è solo una associazione di 1300 aziende di vignaioli veri (5000 etichette in tutto circa), artigiani del vino come si definiscono, ma lascerei da parte i cliché-mood. Qui ho visto vitivinicoltori appassionati. Parlando con loro si capisce che è un lavoro “di famiglia”, cui tengono per passione, dove la vendita diretta, il contatto con il cliente è un plus in più che offrono. È bene che al banco ci sia sempre il produttore-titolare in persona: fa la differenza.
La prima giornata è stata un evento nell’evento. Già alle 9,30 del mattino c’era coda dall’uscita autostrada A1 Piacenza sud al parcheggio fiera. Fra i banchi di un mega padiglione che si presta a questo tipo di eventi, nel corridoio “F” alla postazione “17” incontro Antonio Gabriele, co-vincitore a Passitaly 2019 con il Pantelleria Doc Zibibbo Bianco Don Klocks e medaglia d’argento per lo Zibibbo Doc Passito Bagghiu. Qui ogni notizia: https://azienda-vinicola-gabriele.business.site/.
“La nostra azienda vitivinicola – orgogliosamente mi dice Gabriele – nasce nel 2015 ma con una lunga tradizione vinicola iniziata con Giovanni Gabriele. Due etichette ed un unico obiettivo: alta qualità di un vino riconoscibile sempre dal vitigno e dall’origine del terroir.” L’assaggio è quasi perfetto, dico quasi, perché è bene che un vignaiolo punti sempre più in alto: un profumo-sapore che è inconfondibile rispetto ad altri vini passiti anche con lo stesso vitigno di Moscato d’Alessandria. È il suolo vulcanico e la brezza marina continua che fa la differenza, anche con vini di altre isole del Mediterraneo come Malta, Lampedusa, Favignana e la Sicilia stessa.
“Ecco è proprio questo – continua Gabriele – che il consumatore cerca, vuole, pretende e nessun vino può essere fatto con le leggi o i decreti. Noi produttori siamo singolarmente i garanti di questa identità e identificazione di vino-territorio. Certo il gruppo affiatato di vitivinicoltori dello stesso territorio, è un motore in più. Oggi indispensabile”.
Parole sante verrebbe da dire, le stesse che direi e che ho sempre sostenuto. Non esistono più i vini ottenuti da blend di uve prodotte in territori differenti. I casi eclatanti e un po’ forzati assurgono subito alla cronaca, soprattutto se si parla di Docg e Doc.
“Noi vogliamo – prosegue Gabriele – continuare a produrre un esclusivo e unico Pantelleria Doc Zibibbo senza altre aggiunte o menzioni, tranne che bianco e passito, perché la tradizione di come si ottiene l’uva “passa o seccata naturale” a Pantelleria è antichissima, sempre quella, diversa dalle altre e quando si assaggia il vino….si sente ”.
Più chiaro di così non potrebbe esserlo. E posso confermarlo. Un recentissimo assaggio di vini passiti, sempre a base di uva Moscato Bianco o Comune o Giallo o d’Alessandria, mi è stato sufficiente per riconoscere fra tanti (tutti alla cieca) quello di Pantelleria. Quindi se vogliamo essere tutti, dico tutti, rispettosi del consumatore anche singolo (e non dell’astratto e indefinito mercato), non è tanto una questione di etichetta, di Doc (sarebbe meglio se lo Zibibbo di Pantelleria diventasse Docg in brevissimo tempo), di legge, di diritto, di disciplinare coretto o non corretto, ma è solo una questione di gusto e sapore.
Non si può tradire il consumatore o nascondersi dietro una etichetta. Fu lo stesso barone siciliano, non pantesco, Mendola che per primo fra il 1868 e il 1874, studiò, identificò, diede una paternità, classificò lo Zibibbo di Pantelleria per il suo aroma, sapore e gusto e non per la forma della foglia. Annacquare, disperdere, blendizzare e standardizzare lo Zibibbo di Pantelleria vuol dire voler abbandonare e dimenticare in mezzo al Mediterraneo una terra italiana.
Laurea in agraria e in economia politica agraria, master in gestione e marketing di imprese agroindustriale, economista del vino, giornalista, enologo, accademico della vite e del vino, degustatore per guide, docente a progetto in marketing prodotti Dop, esperto di consorzi di tutela Doc-Dop. Oggi dirige l’Altamarca Trevigiana, terra di grandi prodotti Docg, Doc e Dop, una agenzia di attrazione e sviluppo di marketing territoriale e segue l’Osservatorio Economico dei Vini Effervescenti-OVSE. Interessato alla scuola artistica di Barbizon, giocatore di golf, anche appassionato di cucina e di ricette del territorio.