L’Immaginazione Creatrice
Uno splendido racconto di Anselmo Consolo, ricordo di un’infanzia a contatto con la Natura, con l’Archeologia, la Speleologia, con l’avventura.
Un episodio biografico che riporta alla mente un altro più tragico, quello di Alfredino Rampi e ci ricorda l’importanza della sezione Audio che partirà a giorni sulla nostra testata.
di Anselmo Consolo
Avamposto a Terra Madre! In pieno solstizio d’inverno, nel giorno con meno luce dell’anno, reminiscenze di un lontano passato affiorano dalle tue profondità. Prende forma questo racconto…
C’era una volta un piccolo villaggio di pescatori, cinto da verdi montagne, si affacciava sull’azzurro, ricco mare. Il suo popolo viveva in modo semplice e conviviale. I bambini giocavano felici, gli anziani potevano passeggiare senza essere investiti dalle auto, si riunivano per giocare a carte o a boccette sotto il sole. L’aria era tersa e salubre, sapeva di profondità marine e flora mediterranea.
Tra le case vi erano campagne abbandonate, alberi maestosi, ulivi millenari, agrumeti profumati. C’erano ancora le sorgenti d’acqua naturale, perfino acquedotti dell’antica Roma e gli abitanti andavano a riempire damigiane del bene più puro e prezioso a disposizione di tutti.
Adesso hanno distrutto tutto! Le ruspe hanno sradicato quei piccoli paradisi dove i bambini vivevano epiche avventure sugli alberi. Hanno seppellito le fonti e viadotti romani con freddo cemento e asfalto. La città ha fagocitato il piccolo villaggio.
Ancora non sfregiavano gli stradoni le tranquille vie del villaggio. Non vi erano scorrimenti veloci, svincoli per il traffico, arterie urbane, circonvallazioni, sopra elevate, parcheggi auto, palazzoni, gente nevrotica intrappolata nelle loro gabbie rumorose, metalliche.
Che fortuna! Quest’isola si è miracolosamente salvata da tutto questo. A Pantelleria gli abitanti stanno resistendo alle più feroci aggressioni esterne. Grazie ai suoi anziani che hanno abitato quest’isola, non tutto è ancora perduto! Hanno mantenuto l’onere di restituire alle nuove generazioni una terra quasi integra. Hanno tenuto fede alla loro più alta responsabilità. A Pantelleria c’è ancora speranza!
Ritornando a quel villaggio…
Uno di questi bambini una volta cadde dentro una caverna buia.
Non andava mai a giocare al pallone, a volte insieme ai suoi tanti amici trascorrevano intere giornate a scavare dentro le grotte, tempo prima si accorse che in alcune caverne affioravano strane conchiglie, che non vedeva nel suo mare. Da lì a poco aveva trovato vari reperti di un insediamento umano del paleolitico superiore.
Lì, 40.000 anni fa vivevano degli esseri umani, lì si nutrivano, ci dormivano e ci morivano gli uomini delle caverne. Mentre scavava in quei luoghi, il bambino immaginava la vita dei suoi primordiali compaesani. Ancora non lo sapeva, era da un po iniziato il suo viaggio alla ricerca di se stesso.
Trovò denti, ossa di animali estinti migliaia di anni fa, coltelli e frecce in selce lavorata. In seguito trovò ossa umane, una mandibola, una calotta cranica, in una fenditura alta della caverna madre, forse dimenticata dai paleontologi, trovò perfino due corpi che giacciono ancora lì in posizione fetale, uno si suppone sia di un adolescente.
Tempo dopo dei momenti di cui si narra, mise i migliori reperti che aveva trovato in una scatolina e si recò accompagnato dal suo papa al museo di paleontologia di Palermo. Lì, conobbe la buon anima del direttore, lo straordinario Professore Vincenzo Burgio, che apprezzando l’insolita passione per un bambino, lo prese a cuore e per la sua felicità, nelle varie escursioni che ebbero modo di fare, gli raccontò tutto di quei luoghi.
Erano giorni che scorrevano liberi e spensierati. Amavano correre insieme a tutti i cani randagi che incontravano per campagne, montagne, boschi, scogliere… i loro genitori non avrebbero mai potuto sapere dove si trovavano, se dentro un pertugio di una montagna o in fondo al cristallino mare, quando ancora ci nuotavano a flotte i cavallucci marini.
Un pomeriggio insieme a Lino, Piero e Claudio, come spesso facevano in quel periodo, si recarono nel complesso di grotte sulle pendici del Monte Gallo, adiacente il villaggio di Sferracavallo.
La loro meta era la grotta principale, detta delle candele, riportata sui libri di preistoria della Sicilia per la sua peculiare struttura a trappola in discesa, nella quale è stato ritrovato un importante cimitero di elefanti e macro fauna preistorica.
Avevano solo un lumino a gas, giunti all’atrio in reverenziale eccitazione si addentrarono nella grande caverna. Il bambino faceva strada con la luce del lume, percorrendo il corridoio a sinistra, dopo una seconda curva a destra e prima di arrivare nella grande sala, scivolavano in una prima discesa, mentre il tetto roccioso si incuneava orizzontalmente verso il basso, per questo gli animali e gli elefanti migliaia di anni fa restavano intrappolati una volta scivolati dentro.
Dopo un breve salto si trovavano all’interno della grande sala carsica a forma di goccia. La luce dipingeva affreschi di ombre vive che si muovevano tra le stalattiti e stalagmiti, l’eco delle loro voci rimbalzava tra le pareti alla ricerca di una via di fuga. Il gioco consisteva nell’arrivare nel punto più profondo della grotta e vedere se c’erano fossili di animali preistorici in superficie.
Per arrivare più giù, bisognava scendere da una seconda pendenza ancora più ripida. Fu li che il bambino mise un piede in fallo, la caduta fu disastrosa. Nello schianto il lumino a gas si fracassò sulla roccia, divampò una grande fiamma che gli lambì il braccio, rotolò più giù, un po più lontano. Ad un tratto la caverna divenne rosso fuoco, come un antro infernale. Restarono con gli occhi colmi di stupore a fissare quella scena spettacolare. Ma durò molto poco, presto la luce si affievolì, la fiamma divenne via via più piccina e in un ultimo fremito, come uno spiritello morente, sparì.
Furono preda dell’oscurità più totale.
Non si può essere precisi di quanto tempo trascorse lì, nel grembo della terra. Forse solo due o tre ore nella più impenetrabile oscurità. Ma davvero gli parve un tempo infinito.
I sensi restanti subito si acuirono. All’inizio sentiva echeggiare nel vuoto il ticchettio delle gocce d’acqua stillate dal tetto della caverna. Poteva sentire l’odore dell’aria umida e il profumo dei minerali, sentiva il suo respiro.
Dopo un po’ riusciva a sentire perfino il suo cuore.
Teneva gli occhi sgranati, ma la luce non poteva raggiungere quell’angolo sperduto. Avete mai provato a tenere gli occhi aperti in una stanza totalmente buia? Quando si chiudono gli occhi, l’oscurità è benvenuta, la mente si rasserena, ci si accinge a lasciare il mondo della veglia per abbandonarci alle braccia di Morfeo e sognare liberamente. Ma quando si tengono gli occhi aperti e non si vede nulla… è tutta un altra storia!
Si immedesimò empaticamente con gli esseri umani non vedenti.
Nell’antichità si considerava chi non era dotato del senso della vista, come un individuo particolarmente saggio e dotato di potere divinatorio, capace di vedere oltre la mera superficie della realtà.
Intanto che l’oscurità lo inghiottiva sempre più, la mente cominciò a fare il suo lavoro, un rotolio di sassolini distanti, resuscitarono un elefante preistorico che barriva disperato e cieco urtava le rocce nel vano tentativo di una via di fuga.
La tensione aumentava insieme al respiro.
Dopo un’ora circa i sensi di quel bambino andarono in subbuglio, il tempo sembrò dilatarsi, spiriti insidiosi si presentarono in quella soglia tra immaginario e reale. Presto la fantasia diede una spallata alla realtà. Fortuna volle che trovò pace, altrimenti chissà quali mostri avrebbe potuto generare quella piccola coscienza acerba…
Dopo due ore circa ogni prodotto della mente del bambino prendeva vita, come in un sogno lucido vedeva ciò che immaginava. Immaginò di salvare da quella oscura trappola un cucciolo di elefante nano e consegnarlo alla sua madre. Immaginò quanto gli piaceva correre libero per valli boscose e montagne.
Si rasserenò pensando che si trovava nel luogo dove era voluto andare. Lì si trovavano i suoi amati animali preistorici, benché ormai ridotti a reliquie fossili, pietrificati dall’ineluttabile morsa del tempo, continuavano ancora a tenergli compagnia.
Immaginò di vedere correre Piero, Lino, Claudio per le vie del villaggio, inerpicarsi veloci sul sentiero, arrivare davanti l’atrio della caverna, sentirli gridare: “Siamo Qui! Siamo tornati! Abbiamo la luce, pure una corda!”
Immaginò sentire i loro passi, vedere un bagliore in lontananza…
I suoi amici erano tornati per salvarlo! Il bambino si arrampicò sulla corda, abbracciò i suoi amici, uscirono dalla caverna tutti contenti, con la soddisfazione di aver vissuto un avventurosa peripezia da raccontare il giorno dopo. Ma adesso il sole stava calando sull’orizzonte, la cena era quasi pronta. Bisognava correre…
Terra Madre, dedico questo racconto a tutti i bambini come Alfredino Rampi, che sono caduti dentro una caverna buia. Dopo che solo i corpicini rimasti ai loro cari o che non più potuti uscire da insondabili meandri, sicuro hanno continuato a correre felici negli ultimi paradisi.
Terra Madre io ti vedo!
Sono un individuo in perenne ricerca di tutto, nel tutto.
L’amore lo trovai senza compiere alcuno sforzo, nato in casa, quando mi ritrovai tra le braccia di mia madre, che mi proteggeva e mi nutriva.
Già allora sentii di trovarmi nel luogo giusto e negli stadi successivi della mia esistenza sono stato sempre più grato alla vita, per come mi ha donato l’amore in ogni sua sfumatura, anche quando, talvolta non risparmiava sul dolore.
Crescendo, l’amore per gli animali, per la natura fu una costante compagnia e rifugio, mentre il richiamo della libertà diveniva troppo forte, un vento avvolgente che mi trascinava verso una ricerca forsennata e mi proiettava naturalmente a vivere tante esperienze.
E cercando di conoscere come meglio poter camminare sulla terra, successivamente imparai anche a volare e ad entrare ed uscire più facilmente da ogni possibile labirinto interiore.
Credo di poter affermare di protendere verso una crescente libertà interiore.
Oggi, invece, scrivo queste parole, come uno dei tanti che è ancora alla ricerca della felicità, nonostante abbia potuto gioire di mille cose, di ogni bellezza e dono dell’esistenza, non riesce ancora ad essere felice…