I panteschi nella storia di Aprilia: le origini del gemellaggio

I panteschi nella storia di Aprilia: le origini del gemellaggio

03/01/2020 0 Di Redazione

Come si è arrivati al gemellaggio tra Aprilia e Pantelleria?

Qual è la storia dell’arrivo dei panteschi nella cittadina a confine tra Latina e Roma?

Chi sono i nomi dei panteschi che hanno contribuito allo sviluppo di Aprilia?

Ce lo racconta la collega Marina Cozzo, che con il padre, l’Avvocato Giovanni Battista Cozzo, sono stati i promotori di questo gemellaggio.

Rin­gra­zia­mo Mari­na Coz­zo per que­sto pez­zo che rac­con­ta la sto­ria dei pan­te­schi di Apri­lia. Chi meglio di lei che con il padre ha avu­to l’i­dea del gemel­lag­gio già 7 anni fa?
La Reda­zio­ne

di Mari­na Cozzo

Pan­tel­le­ria, alias Cos­si­ra, l’i­so­la acca­rez­za­ta dai ven­ti, l’i­so­la bacia­ta dal sole afri­ca­no e bagna­ta dal mare blu cobal­to, l’i­so­la del buon gusto dei cap­pe­ri e del pas­si­to, l’i­so­la di agri­col­to­ri saga­ci ed intra­pren­den­ti, ancor pri­ma che di pesca­to­ri di vio­la, piz­zer­rè e munaceddre.

La posi­zio­ne geo­gra­fi­ca è sin­go­la­re: tan­to vici­na alle coste sici­lia­ne, quan­to più lo è a quel­le tuni­si­ne e defi­ni­ta “vedet­ta del Mediterraneo”.

Così i pan­te­schi, doven­do­si difen­de­re e pro­teg­ge­re da con­ti­nue inva­sio­ni ara­be (vedi il pira­ta Soli­ma­no nel 1500 – “mam­ma li tur­chi”) spa­gno­le, nor­man­ne, fran­ce­si, cura­ro­no poco la pesca, se non per mero dilet­to, doven­do­si rifu­gia­re nel­l’en­tro­ter­ra e costruen­do abi­ta­zio­ni in pie­tra lavi­ca, i cosid­det­ti “dam­mu­si”, che diven­ta­ro­no tut­t’u­no con il pae­sag­gio, dan­do luo­go ad un sug­ge­sti­vo spet­ta­co­lo di colo­re nero lucen­te, accom­pa­gna­to da una albe­ra­tu­ra di un ver­de tipi­co esclu­si­vo del posto. E di pie­tra era­no, anche, le “recin­zio­ni” degli appez­za­men­ti ter­rie­ri per ripa­ra­re le col­tu­re dell’isola.

L’isola, per le sud­det­te carat­te­ri­sti­che, ven­ne defi­ni­ta la Per­la Nera del Medi­ter­ra­neo che, tra le sue aguz­ze roc­ce di ossi­dia­na custo­di­sce gelo­sa­men­te pic­co­li ter­raz­za­men­ti pre­va­len­te­men­te dedi­ca­ti a vigne­to, e affian­ca­ti da “giar­di­ni” sem­pre di pie­tra nera come la not­te e che avvol­go­no amo­re­vol­men­te un sin­go­lo agru­me: “ù jar­di­nu pantiscu”.

Nel con­ta­di­no pan­te­sco c’è intel­li­gen­za, ma anche mol­ta dedi­zio­ne: pro­dur­re nel­le riar­se “gar­che” iso­la­ne gio­iel­li come le aran­ce vani­glia o l’u­va zib­bi­bo, non è cosa per tut­ti. Lì, le col­tu­re si ali­men­ta­no esclu­si­va­men­te di sole, sostan­ze mine­ra­li-vul­ca­ni­che ma soprat­tut­to di tan­to amo­re, abne­ga­zio­ne e talen­to di que­sto popo­lo, nato per fare bene, per tra­sfor­ma­re le ter­re in giar­di­ni fio­ri­ti di quel ver­de acce­so dei vigne­ti, che espri­mo­no, al con­tem­po, augu­rio e spe­ran­za di vita.

Come suc­ce­de a tut­ti gli iso­la­ni, l’aumento del­la popo­la­zio­ne che non tro­va più suf­fi­cien­te­men­te pos­si­bi­li­tà di sosten­ta­men­to, li costrin­ge ad emi­gra­re per ten­ta­re nuo­ve avven­tu­re e nuo­vi suc­ces­si di impe­gno e di lavo­ro, diri­gen­do­si, dap­pri­ma ver­so la vici­na Tuni­sia e Libia e poi, dopo la secon­da guer­ra mon­dia­le, appro­da­re in Sici­lia, ma soprat­tut­to nel Lazio.

Vale la pena ricor­da­re con orgo­glio che tut­ti i nostri gio­va­ni stu­den­ti dell’epoca era­no tri­lin­gue: pan­te­sco, ita­lia­no, francese.

E così agli albo­ri del­la cit­tà di Apri­lia, appro­da­ro­no, uno alla vol­ta, su richia­mo del com­pa­re o del cugi­no, uomi­ni intra­pren­den­ti e deter­mi­na­ti che deci­se­ro di por­ta­re la loro arte in una zona dedi­ta pre­va­len­te­men­te alla pastorizia.

Acqui­sta­ro­no diste­se immen­se, in quel­lo che era il ter­ri­to­rio apri­lia­no del­l’e­po­ca, per alle­sti­re vigne­ti di Mer­lot, Treb­bia­no, uva Ita­lia e San­gio­ve­se e lan­cian­do in quel pae­si­no di pochi abi­tan­ti ed un uni­co cen­tro (P.zza Roma) una nuo­va ten­den­za economica.

Ebbe­ro, se così si può dire, occhio cli­ni­co, anche que­sta vol­ta, poi­ché capi­ro­no che la zona pon­ti­na era per­fet­ta per l’a­gri­col­tu­ra: la ter­ra ric­ca, il cli­ma, le diste­se pianeggianti.

Que­sta impre­sa fu la loro for­tu­na, ma anche quel­la del­la cit­tà, che ha rice­vu­to il bene­fi­co effet­to del­la pre­sen­za pan­te­sca: Il Con­te Pan­dol­fo (la cui tenu­ta era nel­la zona di Via Gram­sci); Fran­ce­sco Valen­za, con gran­di pro­prie­tà (nei pres­si di Via Masca­gni) e a Cam­po­ver­de; Pep­pe Giglio, che si col­lo­cò a Cam­po di Car­ne; Pie­tro Bel­vi­si, in quel­la che era chia­ma­ta Via Rosa­tel­li, Gio­van­ni Erre­ra; Pep­pe Mac­cot­ta, Gia­co­mo Bono­mo.

Que­sti i pio­nie­ri pan­te­schi, che, uni­ti­si in con­sor­zio, fon­da­ro­no la pri­ma can­ti­na socia­le di Apri­lia, l’E­no­tria, alla cui pre­si­den­za nomi­na­ro­no l’Avv. Valen­za (natu­ral­men­te pan­te­sco!) e suc­ces­si­va­men­te quel­la Col­li del Cava­lie­re e La Cos­sy­ra, can­ti­ne che han­no costi­tui­to, per un lun­go perio­do di tem­po, il fio­re all’occhiello del suc­ces­so apri­lia­no a livel­lo nazionale.

In Apri­lia non arri­va­ro­no sol­tan­to agri­col­to­ri e vini­col­to­ri, ma anche inse­gnan­ti, com­mer­cian­ti e pro­fes­sio­ni­sti a dimo­stra­zio­ne di una varie­tà espres­si­va di que­sto popo­lo inge­gno­so, tra cui, con­sen­ti­te di cita­re (non esclu­do la debo­lez­za) l’Avv. Gio­van­ni Bat­ti­sta Coz­zo.
Per­tan­to se Apri­lia è potu­ta tra­sfor­mar­si da bor­go rura­le di poche miglia­ia di abi­tan­ti in una cit­tà vera e pro­pria di oltre 70.000 abi­tan­ti, è per­ché le sue basi (ù ppi­de­men­tu) furo­no rea­liz­za­te anche e sopra­tut­to con l’intelletto e la cul­tu­ra del­la comu­ni­tà pan­te­sca, che nel ven­ten­nio 1960–1980 diven­tò la più poten­te e impo­nen­te del cit­tà pontina.

Insom­ma, il cuo­re di Pan­tel­le­ria pul­sa tra le mura di que­sta for­tu­na­ta loca­li­tà lazia­le, inte­gran­do­si, nel modo miglio­re con tut­to il resto del­la col­let­ti­vi­tà (all’e­po­ca ete­ro­ge­nea per ori­gi­ni e cul­tu­ra) e con­tri­buen­do sostan­zial­men­te e nobil­men­te a gene­ra­re una popo­la­zio­ne soli­da, costrut­ti­va e mol­to lega­ta al ter­ri­to­rio ereditato.


Nel­la foto Gio­van­ni Bat­ti­sta Cozzo