Ci scrive Antonio Casano, del Centro Giamporcaro su una questione fondamentale per lo sviluppo dell’isola: la commercializzazione dei prodotti di eccellenza di Pantelleria, iniziando proprio dai capperi e finendo con lo zibibbo.
Se vogliamo uno sviluppo dove ognuno si riconosca, si deve alzare la produttività dei nostri prodotti che sono di eccellenza e specialmente dei prodotti dell’agricoltura, disinnescando le speculazioni in atto sul buon nome di “Pantelleria”.
Vi prego di dare attenzione alla commercializzazione dei prodotti di eccellenza di Pantelleria che è affrontata in modo frammentaria e poco professionale, ma vanno viste alla luce di una monetizzazione dei prodotti che può essere affidata solo ad una struttura commerciale di un certo profilo, che rappresenti il tessuto agrario degli agricoltori eroici, che vanno finalmente retribuiti, evitando gli ammassi volontari delle cooperative, oltre tutto fallite tutte, eccetto quella dei capperi dove io ho prestato la mia opera quale presidente del collegio sindacale per più di un decennio.
Il mio discorso è più o meno in questi termini già pubblicizzato in altre sedi più o meno così: È un’ idea mia, ma che ha l’ambizione che diventi l’idea di tutti i panteschi.
Se vogliamo uno sviluppo dove ognuno si riconosca, si deve alzare la produttività dei nostri prodotti che sono di eccellenza e specialmente dei prodotti dell’agricoltura, disinnescando le speculazioni in atto sul buon nome di “Pantelleria” a cui tanti hanno contribuito, a partire dai nostri padri e formando una società di capitali che abbia un peso nella commercializzazione dei prodotti, evitando la commercializzazione frammentaria e debole affidata alla singola iniziativa, un’unione dei produttori della vendita che pensi di confrontarsi all’esterno inserendosi nella grande distribuzione e che gli agricoltori li retribuisca immediatamente, per poi lavorare con giusta motivazione i terreni che sono abbandonati.
C’è bisogno di una struttura commerciale che si avvalga di quanto più tecnicamente si ha disposizione, sia come mezzi di trasporto, basti pensare agli aerei, sia di comunicazione, con sistemi internet.
Questa struttura per iniziare è bene che si occupi della commercializzazione dello zibibbo e poi di altri prodotti, evitando lo stoccaggio di magazzino, cosa che facevano i commercianti che provenivano dal mercato ortofrutticolo di Palermo e che arrivavano a commercializzare sino duemila quintali al giorno di uva fresca zibibbo destinata alla tavola degli italiani, visto che arrivava nei mercati del Nord. Se poi la storia non è continuata è perché i commercianti esterni hanno trovato più comodo per motivi logistici puntare sull’uva Italia.
Anni fa la Coop dei capperi tentò di vendere lo zibibbo a Milano trasportandolo in aereo e ci furono due tentativi andati benissimo per la vendita.
Non si sa per quale motivo questi tentativi non abbiano avuto seguito.
Antonio Casano
Foto di Tommaso Brignone
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