Pantelleria si riscopre nell’agricoltura.
Tusa: “Studiare le pratiche agricole pantesche. Tra riscoperta, trasformazione e nuove forme di associazionismo”
di Andrea Govinda Tusa
Come è noto, la situazione del comparto agricolo a Pantelleria vive da tempo una crisi profonda. Nonostante il settore agricolo rappresenti un’importante fonte di auto-sostentamento per molti abitanti nonché uno dei pochi potenziali sbocchi professionali per i panteschi, assistiamo ormai da qualche decennio a una continua regressione dell’economia agricola dell’isola, che va di pari passo con l’abbandono dei terreni e quindi con l’inevitabile perdita di molte pratiche e attività agricole tradizionali. Si tratta di una crisi profonda che non risparmia quasi nessuno, ma che colpisce in particolare le aziende più piccole. E’ una crisi che risale ormai alla fine degli anni ’70, quando iniziò un lungo e doloroso declino dell’economia agricola, che coincise con l’abbandono progressivo delle terre, con l’emigrazione, con la disgregazione dei rapporti socio-culturali così come degli scambi sociali ed economici tra gli abitanti. Basti pensare che la superficie coltivata (prevalentemente a vigneti) è passata da più di 3000 ettari nel 1970 a meno di 1000 ettari nel 2000 (dati ISTAT). Oggi la superficie coltivata è diminuita ulteriormente. Le ragioni e le dinamiche di questa crisi che dura ormai da vari decenni sono molteplici e complesse. A causa della loro ampiezza e complessità, non è ovviamente possibile affrontare in modo esaustivo in questo breve articolo queste problematiche, che costituiscono alcune delle questioni centrali che sto affrontando nel corso della mia ricerca di dottorato.
Per un antropologo o un ricercatore non è affatto semplice intervistare gli agricoltori di oggi. Bisogna considerare intanto la posizione del ricercatore rispetto al soggetto intervistato, quello che in antropologia viene definito “io etnografico”, ovvero la nostra posizione, la nostra prospettiva, le nostre percezioni che “filtrano” le informazioni e i dati raccolti nelle interviste e nelle osservazioni. Molti contadini, soprattutto i più anziani, durante le interviste parlano in dialetto, e hanno spesso un linguaggio non semplice da decifrare. A volte tendono ad assecondarti dicendoti quello che essi stessi pensano che vuoi sentirti dire. Capita infatti che ti descrivano delle immagini forzate o idilliache della realtà, e quindi bisogna stare attenti alla “traduzione” e all’interpretazione dei discorsi, oltre che alle particolarità del soggetto e del suo contesto sociale. Inoltre la crisi e le difficoltà economiche generano un malcontento che per forza di cose traspare dalle emozioni di chi ti parla. Da questo punto di vista è opportuno adottare diverse strategie e impostazioni a seconda della particolarità e delle caratteristiche del soggetto intervistato. Io in genere adotto un modello semi-strutturato, lasciando una certa libertà al soggetto ma intervenendo quando si allontana troppo dalle questioni che mi interessano.
La coltivazione del cappero e della vite ad alberello da cui si ottengono uva, vino e passito costituiscono oggi la maggiore fonte di reddito per gli agricoltori panteschi. L’introito derivante dalla commercializzazione dei prodotti agricoli panteschi proviene esclusivamente da piccole aziende che producono e trasformano in proprio, o da piccoli proprietari o viticoltori. Alcuni piccoli e medi viticoltori sono associati al “Consorzio Pantelleria DOC”, al cui interno vi sono anche le due uniche grandi aziende siciliane di vinificazione che comprano la maggior parte dell’uva dai contadini e la lavorano negli stabilimenti di stoccaggio e trasformazione. Molti produttori di capperi si rivolgono all’unica cooperativa agricola presente attualmente sull’isola, la “Cooperativa dei capperi”. Alcuni piccoli produttori hanno preso parte a nuove forme associative per organizzarsi e far fronte alle problematiche comuni, come l’interessante realtà dell’associazione di agricoltori “Pantelleria Eroica”.
Pantelleria è sempre stata un’isola di frontiera. Per le sue peculiarità geografiche, naturali, e per determinate ragioni storiche si è rivelata spesso un piccolo laboratorio, un luogo particolarmente adatto per lo studio e l’analisi, ma anche per sperimentazioni in diversi ambiti e campi scientifici (ambiente, energia sostenibile, agricoltura, archeologia). Un futuro sostenibile ecologicamente ed economicamente, non può che basarsi sulla tutela, sulla salvaguardia e sulla valorizzazione del patrimonio naturale da un lato (ambiente, biodiversità, Parco Nazionale) e del patrimonio culturale dall’altro. Il patrimonio culturale pantesco è vastissimo. Questo comprende innanzitutto la storia dell’isola, e quindi il patrimonio materiale, i siti archeologici, i reperti. Poi il patrimonio immateriale, ovvero la lingua, il dialetto, i saperi e le pratiche tradizionali agricole, le usanze e le tradizioni culinarie ed eno-gastronomiche.
Negli ultimi decenni è maturata una consapevolezza sempre più importante rispetto alla necessità di salvaguardare il patrimonio culturale e ambientale dell’isola. Questo anche grazie al fatto che, parallelamente all’emigrazione di tanti panteschi verso il nord Italia o all’estero, sempre più “non panteschi” hanno deciso di trasferirsi definitivamente sull’isola. Ciò ha trasformato Pantelleria in una sorta di “osservatorio privilegiato” per le politiche e le pratiche di salvaguardia e valorizzazione. La presa di coscienza e la consapevolezza sono alla base del cambiamento e del comportamento responsabile dei cittadini. Il miglioramento nelle politiche di gestione, salvaguardia e valorizzazione dei patrimoni è a mio avviso possibile e può venire anche dal basso, dalla “società civile”. Il concetto di comunità per Pantelleria è un concetto aperto. La comunità pantesca è qualcosa di duttile, di vario e frammentato. L’agricoltura e il turismo hanno delle enormi potenzialità per la comunità pantesca. Pantelleria non può che accogliere un turismo di nicchia. Non un turismo di massa quindi, ma un turismo culturale, naturalistico ed eno-gastronomico che punta sulla qualità dell’offerta più che sulla quantità di visitatori. Al tempo stesso assistiamo alla nascita di nuove forme di socialità, alla sperimentazione di nuove forme associative sul territorio. Penso ad esempio all’esperienza di alcuni processi partecipativi e di nuove forme di imprenditorialità dal basso (Cooperativa di comunità, impresa di comunità) che stanno cercando di sorgere sul territorio a sostegno della comunità agricola locale.
Nasco a Palermo il 15/10/1985. Dopo essermi diplomato al Liceo classico G.Meli di Palermo, mi sono trasferito a Roma dove ho studiato Teorie e pratiche dell’antropologia all’Università La Sapienza. Dopo la laurea triennale a Roma, decido di trasferirmi in Francia dove imparo il francese e studia all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Marsiglia. Ho conseguito il master di primo e secondo livello in Ricerche comparative in scienze sociali (antropologia, sociologia, storia) e ho deciso di tornare in Italia, dove vive tra Roma e Palermo, effettuando impieghi e stage di vario tipo. Nel 2007 e nel 2008 ho svolto alcune missioni in Kenya e in Egitto lavorando come “esperto di antropologia” presso alcuni Resort di lusso per la divulgazione delle conoscenze antropologiche tra i turisti. Lavoro per varie ONG impegnate nella cooperazione internazionale, nella lotta alla dispersione scolastica, nell’assistenza ai migranti. Ho svolto un tirocinio di 6 mesi a Lisbona nel “Centro portugues refugiados” grazie al progetto “Leonardo” dell’UE. Ho svolto a Palermo un tirocinio presso la fondazione Ignazio Buttitta e il Museo delle Marionette, nell’ambito del progetto “Garanzia giovani”. Nel 2017 sono stato chiamato dal Rettorato della regione Alpes-Provence-Cote d’Azur per una missione di insegnamento della lingua italiana dapprima in un liceo a Marsiglia e successivamente in una scuola media vicino Marsiglia. Nel 2018 ho vinto una borsa di dottorato in Scienze del patrimonio culturale presso l’Università di Palermo per svolgere una ricerca di antropologia sulle dinamiche innescate nella comunità pantesca dai processi di patrimonializzazione UNESCO della Vite ad Alberello e dei muretti a secco, e dall’istituzione del Parco Nazionale di Pantelleria.