Il nuovo Tenente di Vascello, Antonio Terrone, a capo della Capitaneria di Porto di Pantelleria, riprende con questo suo primo scritto la Rubrica del Mare, che nelle prossime settimane si arricchirà di contenuti video per tenere aggiornati panteschi e turisti sulla stagione estiva sull’isola.
L’argomento, per Pantelleria, è di estremo interesse, dato che tanti luoghi chiave dell’isola sono proprio di proprietà del Demanio Marittimo
I BENI DEL DEMANIO MARITTIMO: DEFINIZIONE, FUNZIONE E CLASSIFICAZIONE
Molti di noi avranno sentito parlare almeno una volta nella vita del fantomatico demanio marittimo, ma in cos’è in realtà il demanio marittimo?
In generale per demanio statale in generale s’intendono tutti i beni appartenenti allo Stato, destinati per natura o per legge al soddisfacimento di una funzione pubblica e perciò sottratti al commercio, con i quali la collettività entra in rapporto di fruizione diretto e gratuito.
Più in particolare, il demanio destinato a soddisfare gli usi pubblici del mare, riconducendo a tale categoria non solo quelli concernenti le attività in connessione diretta col mare (pesca, navigazione, ecc.) ma anche quelli che presuppongono l’utilizzazione indiretta a favore della collettività (diporto, balneazione, ecc.), rientra nella categoria del demanio marittimo. I beni demaniali marittimi fanno parte del demanio necessario. Il demanio necessario comprende tutti quei beni immobili che per natura sono tutti di proprietà dello Stato, e solo eccezionalmente delle Regioni (ad es. nella Regione Sicilia il trasferimento dei beni demaniali marittimi è avvenuto col D.P.R. n. 684/1977).
La natura demaniale di tali beni si fonda, preminentemente, sulla potenziale utilizzabilità degli stessi per i cosiddetti usi pubblici del mare (diporto, navigazione, balneazione, pesca, turismo, ecc.) coerentemente con la loro naturale destinazione. Ne consegue che ai fini della demanialità rileva non solo l’idoneità astratta insita nel bene, ma anche la sua funzione pubblica nei confronti della collettività. Da quanto anzidetto scaturisce il criterio su cui si basa l’individuazione del bene demaniale, ossia l’uso pubblico del mare cui fa espresso riferimento l’art. 35 c.n.
I beni del demanio marittimo costituiscono, per la vastità dell’estensione territoriale e la particolarità delle utilizzazioni, la categoria di beni pubblici di maggiore rilievo ambientale. Elemento comune di tali beni è il fatto di delimitare o circondare lo spazio acqueo marino.
Il bene demaniale appartiene allo Stato ed è destinato, per natura o per legge, al soddisfacimento di una funzione pubblica, da ciò discende la sua inalienabilità, incommerciabilità ed inespropriabilità. Ne consegue che i beni che fanno parte del demanio in generale e marittimo in particolare non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti da leggi specifiche (Cass., Sez. II, 17 marzo 1998 n. 2844).
L’attribuzione ai privati di diritti di godimento sui beni del demanio marittimo si realizza attraverso provvedimenti unilaterali di concessione, provvedimenti rientranti nell’ampio concetto di provvedimenti di polizia amministrativa, e non quindi attraverso contratti di diritto comune; ed il loro godimento a scopi lucrativi (da parte dei privati) non può avvenire gratuitamente.
Una prima classificazione nazionale (poiché i vari stati preunitari avevano diverse legislazioni in materia) dei beni facenti parte del demanio marittimo si rinveniva nel Codice della Marina Mercantile del 1865 (entrato in vigore il 1° Gennaio 1866), che all’art. 157 elencava fra i beni del pubblico demanio il lido del mare, i porti, i seni e le spiagge. La classificazione definitiva è, invece, da ricondursi al Codice della navigazione (e all’annesso Regolamento per la navigazione marittima) di cui al R.D. n. 327/1942, entrato in vigore il 21 aprile 1942 e tuttora vigente. In particolare, i beni facenti parte del demanio marittimo sono elencati nell’art. 28 c.n. (generalmente considerato come una specificazione integrativa dell’art. 822 del Codice Civile) che cita testualmente: “Fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno una parte dell’anno comunicano col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”.
L’elencazione di cui all’art. 28 c.n. comprende diverse tipologie di beni demaniali marittimi che si differenziano, gli uni dagli altri, per i loro intrinseci caratteri fisici e per l’utilizzo che di essi viene fatto. In particolare il Codice della navigazione distingue:
Il lido del mare che, per definizione, è quella porzione di litorale che si trova ad immediato contatto con il mare e che si estende fin dove arrivano le massime mareggiate invernali, con esclusione dei momenti di tempesta. Nella nozione di lido rientrano anche le scogliere, gli scogli, i massi scogliosi, le dighe naturali, i promontori e le punte, in quanto si presentano in aderenza con il mare. Per giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 2417, Sez. II 23 aprile 1981), ai fini dell’appartenenza di un’area rivierasca al demanio marittimo, si ritengono essenziali i seguenti requisiti: a) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; b) che almeno in passato sia stata sommersa e che tuttora sia utilizzabile per uso marittimo; c) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione, anche solo potenzialmente.
La spiaggia è costituita dalla zona che dal margine interno del lido si estende verso terra. Essendo una zona soggetta a modificazione, in quanto si può restringere a causa dell’azione delle forze erosive del mare oppure può ampliarsi qualora le acque si ritirino, in essa vige il principio secondo il quale il mutamento dello stato dei luoghi è idoneo a mutarne il regime giuridico, senza che occorra un apposito provvedimento amministrativo.
Gli arenili sono tratti di terraferma determinatisi con il naturale ritirarsi delle acque che pur avendo perso un’immediata idoneità ai pubblici usi del mare ne conservano la potenzialità. Essi hanno natura demaniale marittima fino a quando non intervenga un decreto di sdemanializzazione da parte del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con quello per le Finanze, su proposta del Capo del Compartimento marittimo, come previsto dall’art. 35 c.n.
I porti sono quei tratti di costa, naturali ed artificiali, idonei ad offrire rifugio ed agevolare l’approdo delle navi al riparo dai venti e dalle onde. Questa nozione di porto appare d’ampia portata in quanto non si riferisce alla sola destinazione commerciale, e per questo rappresenta un’innovazione rispetto al vecchio Codice (T.U. n. 3095 del 1885) che suddivideva i porti in due categorie: quelli che interessavano la sicurezza della navigazione in generale e la difesa militare dello Stato e quelli che interessavano il commercio. Tale innovazione risulta altresì recepita dalla L. n. 84/1994, che classifica i porti in base alle loro funzioni e caratteristiche (militari, commerciali, industriali, petroliferi, pescherecci, turistici e da diporto).
Le rade sono zone di mare normalmente prospicienti o prossime al porto, ma anche di mare aperto, che offrono la possibilità di una sosta temporanea alle navi in quanto al riparo dai venti e dai marosi. Le rade si definiscono naturali se il riparo è dovuto ad elementi naturali (isole, banchinamenti, ecc.), ovvero in protetta o foranee a seconda se il riparo è offerto da tutte o da alcune direzioni.
Le lagune sono gli specchi d’acqua situati nelle vicinanze del mare. Si distinguono in lagune vive, se comunicanti con il mare, lagune morte, se separate o stagnanti. Nelle lagune vive le aperture comunicanti con il mare prendono il nome di “bocche di porto”.
Le foci dei fiumi sono state incluse nell’art. 28 c.n. (che considera solo le foci dei fiumi che sboccano in mare) per non interrompere il principio di continuità e di contiguità delle coste e poiché rileva la loro utilizzabilità ai pubblici usi marittimi. In base all’art. 31 c.n. nei luoghi nei quali il mare comunica con i fiumi i limiti demaniali sono fissati dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con le altre amministrazioni interessate e comunque, la fissazione di tali limiti si fonda su criteri di carattere funzionale (come nel caso di porti fluviali).
I bacini d’acqua salsa o salmastra sono bacini di basso fondale d’origine sia marina sia fluviale, esistenti nella terraferma, in cui lo stato dei luoghi rende possibile la penetrazione ed il riflusso dell’acqua del mare, anche solo per una parte dell’anno. La comunicazione può avvenire anche attraverso canali costruiti dall’uomo purché l’acqua del mare possa affluire liberamente al bacino senza l’ausilio di mezzi meccanici. Non è necessario che l’acqua del mare sia l’unica acqua del bacino, purché la miscela sia almeno salmastra.
I canali, penetrando nella terraferma, collegano gli approdi interni con il mare. Sono assoggettati alla disciplina del demanio marittimo indipendentemente dalla natura delle acque, in quanto strumentali agli usi pubblici del mare.
L’articolo 29 c.n. cita, infine, le pertinenze del demanio marittimo ossia: “le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono considerate come pertinenze del demanio stesso”. Tali opere (fari, moli, argini, ecc.) sono caratterizzate da un rapporto di accessorietà rispetto al bene demaniale, col quale si immedesimano.
In materia di demanio marittimo assumono, inoltre, particolare rilievo gli istituti disciplinati dagli artt. 31 e ss. c.n. (apposizione di limiti, delimitazione, ampliamento, e destinazione ad altri usi pubblici dei beni demaniali marittimi) qui di seguito accennati.
Trattando di apposizione di limiti il Codice della navigazione sancisce che, nei luoghi dove il mare comunica con canali, fiumi o altri corsi d’acqua, i limiti del demanio marittimo sono fissati dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con quelli delle Finanze e dei Lavori Pubblici. La natura di detta apposizione di limiti, e la conseguente iscrizione del bene individuato in appositi elenchi, è ritenuta un atto di ricognizione, non costitutivo della demanialità (cfr. Cass., Sez. II, 29 aprile 2003 n. 6657), né della appartenenza del bene ad una determinata amministrazione.
Per quanto concerne il procedimento di delimitazione demaniale è necessario fare riferimento agli artt. 32 c.n. e 58 r.c.n.. Ratio di tali norme è l’accertamento dei confini delle zone demaniali marittime con i fondi contigui appartenenti a terzi o ad altre tipologie di beni demaniali. Ai sensi dell’art. 32 c.n. “è il Capo del Compartimento marittimo a disporre, quando sia necessario o comunque lo ritenga opportuno, la delimitazione di zone del demanio marittimo”. Dal disposto normativo sembrerebbe trattarsi di attività discrezionale, in realtà la discrezionalità è da intendersi nel senso che l’Autorità marittima procede alla delimitazione allorquando ricorrano due condizioni: che esista un interesse pubblico attuale e concreto, e che vi sia incertezza dei confini tra proprietà privata e demanio marittimo (cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 febbraio 1979, n. 80). L’istituto si fonda, quindi, sul presupposto che vi sia incertezza solo sull’estensione della demanialità, non anche sulla qualificazione giuridica dei terreni confinanti (titolo e regime di appartenenza degli stessi). Su tale presupposto, quindi, la giurisprudenza ha stabilito che deve essere affermata la giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda con la quale il privato faccia valere, nei confronti della pubblica amministrazione, il diritto di proprietà su di un determinato immobile (cfr. Cass. S.U. 22 giugno 1978 n. 3068). La certezza dei confini delle zone demaniali è di fondamentale importanza per la legittimità di qualsivoglia provvedimento, sia di polizia amministrativa sia di polizia giudiziaria, posto in essere dall’Autorità amministrativa e che abbia per oggetto l’occupazione delle zone stesse (es. ordini di sgombero, sequestro delle opere abusive, ecc.), nonché per il rispetto di distanze o altri vincoli legali. Proprio per tale ragione, la dottrina ritiene che il procedimento di delimitazione può essere considerato espressione del potere di autotutela dell’amministrazione marittima (ex art. 823 c.c.). Le operazioni di delimitazione sono eseguite in contraddittorio con i proprietari frontisti, questi sono invitati ad intervenire ed a produrre i loro titoli e la loro assenza non pregiudica l’espletamento delle procedure delimitative. Nell’ambito dell’anzidetta procedura agli stessi privati sono comunque garantiti i poteri di difesa (cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 dicembre 2001 n. 6054). Il provvedimento di delimitazione e la conseguente apposizione di limiti, è, comunque, da considerarsi un atto di ricognizione non costitutivo, bensì dichiarativo della demanialità già insita nel bene stesso.
Una diversa procedura è prevista dall’art. 33 c.n. che recita: “quando per necessità dei pubblici usi del mare occorra comprendere nel demanio marittimo zone di proprietà privata di limitata estensione e di lieve valore ad esso adiacenti, ovvero i depositi e gli stabilimenti menzionati nell’art. 52, la dichiarazione di pubblico interesse per l’espropriazione è fatta con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con quello per le Finanze. Il decreto costituisce titolo per l’immediata occupazione del bene da espropriare”. Tale procedura detta di ampliamento ha, secondo autorevole dottrina, carattere eccezionale. L’art. 34 c.n. dispone che determinate parti del demanio marittimo possano essere destinate, con provvedimento del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (su richiesta dell’amministrazione interessata), ad altri usi pubblici, cessati i quali riprendono la loro normale destinazione. In questo caso sebbene il potere di gestione sia trasferito all’amministrazione interessata ad un’utilizzazione diversa dai pubblici usi del mare, i poteri di polizia amministrativa e giudiziaria permangono in capo all’amministrazione “concedente”.
Concludendo il Codice della navigazione annovera, infine, il procedimento di esclusione di zone dal demanio marittimo o sdemanializzazione disciplinato dall’art. 35 c.n., il quale stabilisce che, nel caso in cui certe zone demaniali non siano più ritenute dal Capo del Compartimento marittimo utilizzabili per i pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con quello delle Finanze. L’atto di sdemanializzazione (o sclassificazione), a differenza del provvedimento di delimitazione, ha natura costitutiva.
IL CAPO DEL CIRCONDARIO MARITTIMO DI PANTELLERIA
T.V.(CP) Antonio TERRONE
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