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Pantelleria e la tradizione degli altarini di San Giuseppe: ecco quello di Annalisa e Chiara Raffaele
18/03/2021Ci scrivono Annalisa e Chiara Raffaele volendo condividere con i panteschi il loro altarino di San Giuseppe, illustrandocene il significato e i simboli che contraddistinguono questa tradizione tipica di Pantelleria.
San Giuseppe è appoggiato sul legno grezzo, era il suo materiale di lavoro, così come noi chiediamo la sua intercessione per la nostra continua conversione, modellandoci secondo la forma che vuole Gesù.
Gli scalini non sono simmetrici, perché la vita non sempre è lineare, ma la tovaglia impreziosisce gli scalini, come la grazia completa la natura.
Ci sono le primizie di primavera, come vanno offerte le nostre primizie di vita e i nostri atti d’amore secondo la forma eucaristica (ultima cena).
Le luci presso il santo rappresentano la luminosità della santità che dà chiarore alle nostre vite e lungo gli scalini troviamo delle candele, perché non mancano i testimoni, i santi dell’ordinario, che danno coraggio e speranza per salire la vetta della santità nel quotidiano.
In tempo di pandemia abbiamo pensato di fare cosa gradita per chi é devoto, far girare l’immagine dell’altare di San Giuseppe, viste le restrizioni di movimento.
É marzo e a Pantelleria come in tutta la Sicilia si venera San Giuseppe, facendo anche una serie di altarini di diverso tipo:
- con arance limoni e alloro
- Pani decorati
- a Pantelleria con i gradini addobbati di statue, seminato ed angioletti, il tutto ornato da colonne e archi.
San Giuseppe é invocato come protettore dei poveri, degli orfani, ma sopratutto come padre della Provvidenza.
Gli isolani anticamente festeggiavano San Giuseppe, innalzandogli degli altarini domestici, la cui preparazione cominciava da un mese prima della ricorrenza, con la raccolta di statuette, sciarpe eleganti, drappi, fazzoletti, gioielli, oro e ninnoli vari destinati a decorare l’altare.
Questo era generalmente di dimensioni notevoli, occupava gran parte della sala che lo accoglieva ed era posto su quattro o cinque gradini.
La preparazione degli altarini coinvolgeva, a detta degli anziani, quasi tutti i gruppi famigliari dell’isola, che gareggiavano tra loro per renderlo più ricco possibile, richiedendo la collaborazione di amici e parenti, per reperire gli ornamenti più preziosi.
Le case che ospitavano le cappelle domestiche di San Giuseppe venivano abbellite anche sulla facciata esterna con colonne e archi in legno intagliato, rami di palma e tutto ciò che poteva servire, in modo tale da sembrare la facciata di una chiesa.
Sopra al centro si inseriva l’immagine del Santo.
Sull’altare si ponevano tutte le primizie più belle che poteva offrire la stagione ed alcuni piatti fioriti preparati già da qualche settimana prima; dentro questi piatti si mettevano dell’ovatta bagnata e sopra si spargevano grano, lenticchie e scagliola e si lasciavano germogliare al buio per farli crescere bianchi, avendo cura di innaffiarli ogni due giorni.
Questa tradizione dei piatti fioriti da offrire sugli altari viene conservata in alcuni Comuni siciliani, durante la settimana Santa.
I rametti di rosmarino posti su un cesto andavano a ricordare l’utilizzo che aveva fatto San Giuseppe di quest’erba per allontanare le zanzare e proteggere il bambinello, il fiore del rosmarino é viola come il colore della quaresima, nella quale cade la festa di San Giuseppe.
Il 19 marzo si formava una processione di gente che, al suono di una banda di 5 o 6 elementi, girava di casa in casa a visitare gli altari; un sacerdote benediceva tutte le primizie esposte.
La parte più toccante del rito consisteva nel cosiddetto banchetto di San Giuseppe: un uomo, una donna e un bambino scelti tra le persone più povere del paese, simboleggianti rispettivamente San Giuseppe, Maria e Gesù, ai quali venivano offerte molte vivande costituite dalle primizie benedette sull’altare.
Quest’usanza del pranzo offerto alla “sacra famiglia” é stata sostituita oggi con un’offerta ai poveri.
Non mancava la “cucciddata”, pane di semola a forma di grande ciambella che arrivava talvolta a pesare fino a 10–12kg, ripieno spesso di un impasto di uva passa, fichi e noci tritate, benedette precedentemente sull’altare e offerto quindi alla sacra famiglia.
Per tutta la settimana successiva alla festa, le famiglie si riunivano davanti all’altare domestico di San Giuseppe per recitare Rosario:
“San Giuseppe fustivu Patri
Vergine e puro come una matri;
Maria é la rosa, Giuseppe é lu giglio
Datemi aiuto di Pane e Consiglio
San Giuseppe mancu m’abbannunate
‘nta li me nicissitá
je spero la provvidenza
di Gesù, Maria e Giuseppe.”
Gran parte di questa tradizione oggi é andata perduta insieme all’usanza di fare dire la messa per uno o due mercoledì successivi alla festa di San Giuseppe, in segno di ringraziamento al santo per grazie ricevute: restano solo una decina di altarini per contrada.
(Tratto dalla tesi di Laura di Annalisa Raffaele ‘Il ciclo dell’anno a Pantelleria’, Università di Palermo, anno accademico 1987/88)
Annalisa e Chiara Raffaele
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