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Pantelleria e la tradizione degli altarini di San Giuseppe: ecco quello di Annalisa e Chiara Raffaele

Ci scrivono Annalisa e Chiara Raffaele volendo condividere con i panteschi il loro altarino di San Giuseppe, illustrandocene il significato e i simboli che contraddistinguono questa tradizione tipica di Pantelleria.

 

San Giu­sep­pe è appog­gia­to sul legno grez­zo, era il suo mate­ria­le di lavo­ro, così come noi chie­dia­mo la sua inter­ces­sio­ne per la nostra con­ti­nua con­ver­sio­ne, model­lan­do­ci secon­do la for­ma che vuo­le Gesù.

Gli sca­li­ni non sono sim­me­tri­ci, per­ché la vita non sem­pre è linea­re, ma la tova­glia impre­zio­si­sce gli sca­li­ni, come la gra­zia com­ple­ta la natura.

Ci sono le pri­mi­zie di pri­ma­ve­ra, come van­no offer­te le nostre pri­mi­zie di vita e i nostri atti d’amore secon­do la for­ma euca­ri­sti­ca (ulti­ma cena).

Le luci pres­so il san­to rap­pre­sen­ta­no la lumi­no­si­tà del­la san­ti­tà che dà chia­ro­re alle nostre vite e lun­go gli sca­li­ni tro­via­mo del­le can­de­le, per­ché non man­ca­no i testi­mo­ni, i san­ti del­l’or­di­na­rio, che dan­no corag­gio e spe­ran­za per sali­re la vet­ta del­la san­ti­tà nel quotidiano.

In tem­po di pan­de­mia abbia­mo pen­sa­to di fare cosa gra­di­ta per chi é devo­to, far gira­re l’immagine del­l’al­ta­re di San Giu­sep­pe, viste le restri­zio­ni di movimento.

É mar­zo e a Pan­tel­le­ria come in tut­ta la Sici­lia si vene­ra San Giu­sep­pe, facen­do anche una serie di alta­ri­ni di diver­so tipo: 

San Giu­sep­pe é invo­ca­to come pro­tet­to­re dei pove­ri, degli orfa­ni, ma sopra­tut­to come padre del­la Provvidenza.

Gli iso­la­ni anti­ca­men­te festeg­gia­va­no San Giu­sep­pe, innal­zan­do­gli degli alta­ri­ni dome­sti­ci, la cui pre­pa­ra­zio­ne comin­cia­va da un mese pri­ma del­la ricor­ren­za, con la rac­col­ta di sta­tuet­te, sciar­pe ele­gan­ti, drap­pi, faz­zo­let­ti, gio­iel­li, oro e nin­no­li vari desti­na­ti a deco­ra­re l’altare.

Que­sto era gene­ral­men­te di dimen­sio­ni note­vo­li, occu­pa­va gran par­te del­la sala che lo acco­glie­va ed era posto su quat­tro o cin­que gradini.

La pre­pa­ra­zio­ne degli alta­ri­ni coin­vol­ge­va, a det­ta degli anzia­ni, qua­si tut­ti i grup­pi fami­glia­ri dell’isola, che gareg­gia­va­no tra loro per ren­der­lo più ric­co pos­si­bi­le, richie­den­do la col­la­bo­ra­zio­ne di ami­ci e paren­ti, per repe­ri­re gli orna­men­ti più preziosi.

Le case che ospi­ta­va­no le cap­pel­le dome­sti­che di San Giu­sep­pe veni­va­no abbel­li­te anche sul­la fac­cia­ta ester­na con colon­ne e archi in legno inta­glia­to, rami di pal­ma e tut­to ciò che pote­va ser­vi­re, in modo tale da sem­bra­re la fac­cia­ta di una chiesa.

Sopra al cen­tro si inse­ri­va l’immagine del Santo.

Sull’altare si pone­va­no tut­te le pri­mi­zie più bel­le che pote­va offri­re la sta­gio­ne ed alcu­ni piat­ti fio­ri­ti pre­pa­ra­ti già da qual­che set­ti­ma­na pri­ma; den­tro que­sti piat­ti si met­te­va­no dell’ovatta bagna­ta e sopra si spar­ge­va­no gra­no, len­tic­chie e sca­glio­la e si lascia­va­no ger­mo­glia­re al buio per far­li cre­sce­re bian­chi, aven­do cura di innaf­fiar­li ogni due giorni.

Que­sta tra­di­zio­ne dei piat­ti fio­ri­ti da offri­re sugli alta­ri vie­ne con­ser­va­ta in alcu­ni Comu­ni sici­lia­ni, duran­te la set­ti­ma­na Santa.

I ramet­ti di rosma­ri­no posti su un cesto anda­va­no a ricor­da­re l’utilizzo che ave­va fat­to San Giu­sep­pe di quest’erba per allon­ta­na­re le zan­za­re e pro­teg­ge­re il bam­bi­nel­lo, il fio­re del rosma­ri­no é vio­la come il colo­re del­la qua­re­si­ma, nel­la qua­le cade la festa di San Giuseppe.

Il 19 mar­zo si for­ma­va una pro­ces­sio­ne di gen­te che, al suo­no di una ban­da di 5 o 6 ele­men­ti, gira­va di casa in casa a visi­ta­re gli alta­ri; un sacer­do­te bene­di­ce­va tut­te le pri­mi­zie esposte.

La par­te più toc­can­te del rito con­si­ste­va nel cosid­det­to ban­chet­to di San Giu­sep­pe: un uomo, una don­na e un bam­bi­no scel­ti tra le per­so­ne più pove­re del pae­se, sim­bo­leg­gian­ti rispet­ti­va­men­te San Giu­sep­pe, Maria e Gesù, ai qua­li veni­va­no offer­te mol­te vivan­de costi­tui­te dal­le pri­mi­zie bene­det­te sull’altare.

Quest’usanza del pran­zo offer­to alla “sacra fami­glia” é sta­ta sosti­tui­ta oggi con un’of­fer­ta ai poveri.

Non man­ca­va la “cuc­cid­da­ta”, pane di semo­la a for­ma di gran­de ciam­bel­la che arri­va­va tal­vol­ta a pesa­re fino a 10–12kg, ripie­no spes­so di un impa­sto di uva pas­sa, fichi e noci tri­ta­te, bene­det­te pre­ce­den­te­men­te sull’altare e offer­to quin­di alla sacra famiglia.

Per tut­ta la set­ti­ma­na suc­ces­si­va alla festa, le fami­glie si riu­ni­va­no davan­ti all’altare dome­sti­co di San Giu­sep­pe per reci­ta­re Rosario:

“San Giu­sep­pe fusti­vu Patri

Ver­gi­ne e puro come una matri;

Maria é la rosa, Giu­sep­pe é lu giglio

Date­mi aiu­to di Pane e Consiglio

San Giu­sep­pe man­cu m’abbannunate

‘nta li me nicissitá

je spe­ro la provvidenza

di Gesù, Maria e Giuseppe.”

Gran par­te di que­sta tra­di­zio­ne oggi  é anda­ta per­du­ta insie­me all’usanza di fare dire la mes­sa per uno o due mer­co­le­dì suc­ces­si­vi alla festa  di San Giu­sep­pe, in segno di rin­gra­zia­men­to al san­to per gra­zie rice­vu­te: resta­no solo una deci­na di alta­ri­ni per contrada.

(Trat­to dal­la tesi di Lau­ra di Anna­li­sa Raf­fae­le ‘Il ciclo dell’anno a Pan­tel­le­ria’, Uni­ver­si­tà di Paler­mo, anno acca­de­mi­co 1987/88)

Anna­li­sa e Chia­ra Raffaele

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