Pantelleria un esempio di resilienza, di risorsa a disposizione, dove sviluppo e ambiente possono camminare insieme creando futuro.
La transizione ecoambientale già c’è, va solo ottimizzata, efficientata e programmata nel lungo periodo per nuove generazioni
di Giampietro Comolli
Una agricoltura rispettosa dell’ambiente, produttiva, non inquinante può realizzarsi nella Padana come sul Tavoliere, sul Gran Sasso come a Pantelleria. Certo che non tutte le agricolture sono uguali, non tutte le aree geografiche possono avere le stesse opportunità e prodotti.
Esiste una agricoltura intensiva, in sintesi, e una agricoltura estensiva: una tecnologica, innovativa, all’avanguardia, competitiva, molto produttiva, redditizia, con investimenti strutturali e strumentali che guarda direttamene al mercato dei grandi numeri….ne esiste una altra, molto simile, ma con fattori di produzione, potenzialità, possibilità molto più ridotte. In Italia esiste una agricoltura di nicchia, part time, limitata, spesso marginale in terre abbandonate e dimenticate che produce cibi e vini eccezionali.
Ecco questa agricoltura, oggi, alla luce del next generation EU, è una risorsa a disposizione che va plasmata, va portata in auge, va messa a reddito giusto. È una fonte di occupazione. Una agricoltura di precisione aiuta le produzioni ecosostenibili e biodinamiche, ma necessita fondi e piani di indirizzo molto chiari e di lungo periodo, non assistenzialismo, nessuna mancetta.
La formazione giovanile e la sperimentazione sono due canali su cui investire per innescare un processo e un percorso virtuoso per il risparmio energetico, produzione di energia pulita in proprio, minor emissione di CO2 e scelte produttive diverse. Non si può pensare a progetti misure fondi alla nascita di giovani imprese di famiglie contadine a 1000 metri se non c’è la strada che arriva, oppure manca la farmacia e magari la sede comunale è a 30 km di montagna in un comune di 500 abitanti: tutti i soldi pubblici e tutta la tecnologia sarebbero i soliti soldi spesi male. I fondi ci sono, come sussidio e come prestito, come sostegno al reddito: bisogna metterli insieme e a regime. Per questo che il primo risultato da portare a casa è una nuova PAC 2021–2023-2027 perché quella oggi in discussione non ha nulla di ecoambientale, nulla che interessi la agricoltura di montagna, dei territori fragili, difficili, vulnerabili.
Non ci vuole una PAC che punti tutto sul reddito, ma che sostenga una nuova impresa, giovanile, legata al territorio sociale, di protezione civile, di salvaguardia del bene collettivo. Fare agricoltura in zone disagiate e svantaggiate non vuol dire puntare sulla intensività della produzione, ma sul curare e mantenere e migliorare la risorsa naturale esistente. Ci vuole una PAC per le “aree vulnerabili europee” che parli di difesa del suolo agrario, premi biodiversità e risparmio di acqua, stimoli a governare e raccogliere con modelli idrogeologici sicuri gli eccessi climatici e le occasionali piogge, aiuti la nascita di imprese poliedriche famigliari, premi le attività sostenibili per la comunità, sostenga anche le aree improduttive ma da mantenere, imponga la posa della fibra e della banda larga veloce e sicura e una transizione digitale, spinga per azioni e misure di coesione sociale.
La PAC oggi in discussione non interviene sulla mega-aree a monocultura, premia l’agroindustria di grandi estensioni, di tecnologia meccanica, di interventi fisico-chimici sempre al limite. Il tutto sembra non in linea con il tanto decantato Green Deal”.
Ribadisco il concetto già espresso: in Europa esistono almeno due tipi di agricoltura diversa, dettate da condizioni oggettive e evidenti a tutti, geo-morfologiche, clima-ambientali, agro-produttive a seconda di ogni regione e all’interno di ogni regione.
L’isola di Pantelleria non è come l’isola grande Sicilia, troppo diverse soprattutto nelle necessità primarie di vita quotidiana, ma per lo stesso agricoltore o viticoltore. Fare il vignaiolo a Marsala non è come farlo sulla Montagna Grande pantesca: socialità, occupazione e reddito, istruzione e viabilità, trasporti e sanità, rapporti con la terra, digitalizzazione e connessione internet cambiano in modo assoluto, abissale. Due modi di vivere e di produrre opposti. Se poi si entra nella tutela e difesa del territorio, le diversità aumentano. Per questo che nelle “aree vulnerabili, difficili, fragili, sensibili ai cambi repentini” la agricoltura è strettamente legata a filo doppio alla socialità, collettività, vivibilità, vitalità, salubrità dell’ambiente civile comunale e occorre realizzare un piano autonomo e diverso.
La produzione agraria non è solo una proprietà aperta quando si va per funghi, per fiori, a far merenda e pic nic, per frutti spontanei o curati, ma in certe aree diventa una attività integrata con tutto quello che c’è o non c’è. Sono ancora troppi in Italia i comuni che non hanno internet in modo continuo e sicuro: su 8100 comuni 4250 sono in aree difficili, di questi 1800 hanno precarie e occasionali connessioni con ponti radio, bassa frequenza, assenza di wireless, circa 300 senza nulla!
Come si fa a mantenere una impresa agraria distante 20–30 km da un centro urbano, senza connessione internet, senza medico, farmacia, uffici postali e bancari, impossibilità di fare impresa perché manca forza lavoro, quando c’è è part time e sottopagata. Oggi pensare a un altro spopolamento di Pantelleria, dei territori montani e svantaggiati, vorrebbe dire un danno sociale e civile irrecuperabile.
Bisogna rifondare comunità con lavori stabili, reddito giusto e con l’obiettivo di presidiare, curare, allevare, coltivare, pulire e tenere in sicurezza. Tutta la società nazionale “ed europea“ deve tener conto e privilegiare questa condizione naturale come una risorsa da sfruttare in termini di ecosostenibilità, di baluardo dell’inquinamento, di mantenimento. Il tema non è semplice, non si risolve con qualche contributo a fondo perduto, a prestito agevolato, a qualche impresa giovanile, a sgravi fiscali e tributari.
C’è bisogno di un piano nazionale: il 75% del territorio italiano è oltre i 350 metri di altitudine.
Non aspettiamo che tutto crolli a valli inesorabilmente.
Laurea in agraria e in economia politica agraria, master in gestione e marketing di imprese agroindustriale, economista del vino, giornalista, enologo, accademico della vite e del vino, degustatore per guide, docente a progetto in marketing prodotti Dop, esperto di consorzi di tutela Doc-Dop. Oggi dirige l’Altamarca Trevigiana, terra di grandi prodotti Docg, Doc e Dop, una agenzia di attrazione e sviluppo di marketing territoriale e segue l’Osservatorio Economico dei Vini Effervescenti-OVSE. Interessato alla scuola artistica di Barbizon, giocatore di golf, anche appassionato di cucina e di ricette del territorio.