A quando Passitaly a Pantelleria?
Propongo ospitalità di tutti i vini passiti naturali Mediterraneo alla prossima edizione. Edizione 2019 ha steso la prima Carta di Pantelleria con le famose 5 “esse” di pantesca next generation. Sostenibilità e Speranza come inizio e fine di un progetto già scritto.
di Giampietro Comolli
Rinnovo l’invito già fatto nel 2019 a Passitaly-Pantelleria organizzato dal Comune guidato dal sindaco Vicenzo Campo, dalla associazione Pantelleria Eroica delle imprese locali, da Slow Food e dall’associazione Passitaly. Passitaly fu l’occasione non solo di presentare vini, organizzare spettacoli musicali di grande interesse e di parlare in 5 incontri tematici di vitivinicoltura siciliana e pantesca, ma soprattutto fu scritta la Carta di Pantelleria. Un documento che poneva al centro la “vita e vitalità” di Pantelleria e attorno l’alberello basso, l’uva, il vino di Zibibbo, i capperi Igp, l’olio Evo ottenuto dalla cultivar Biancolilla, l’origano pantesco, la famosa zucchina rotonda, senza dimenticare aranci, limoni, fichi che sono i grandi protagonisti del “giardino” pantesco. Una impronta agro-alimentare da difendere ad oltranza. La Carta di Pantelleria, predisposta da un emerito giurista del vino come l’avvocato trapanese Diego Maggio co-fondatore della nuova Federdoc dei Consorzi di tutela vini DO-IT italiani nel 1998, fu firmata fra gli altri dal sindaco Vincenzo Campo, Aurelio Angelini, Caterina D’Ancona, Guido Stecchi, Vinicio Venturi, Saro Guiotta, Alfonso Pecoraro Scanio, Diego Maggio e il sottoscritto.
Alla luce della pandemia, la Carta di Pantelleria è stato un documento antesignano, fondante e concreto non solo del progetto del distretto produttivo nel suo insieme e quindi di tutte le imprese viticole, orticole e frutticole della Perla Nera, ma soprattutto ha disegnato un modello di vita-vitalità dell’isola, dei suoi prodotti e abitanti in una visione di lunga prospettiva, non occasionale e non mediatica. Diventa molto difficile oggi dire che vennero inseriti temi e aspetti che anticipavano la situazione attuale. Innanzitutto furono individuati alcuni termini molto importanti e collegati fra loro all’insegna di un bisogno collettivo e unitario di tutti i produttori, esercenti, imprenditori, albergatori, agrituristi.
Un avvenire disegnato e improntato sul significato, il valore, l’impegno di 5 parole, tutte con l’iniziale “S” come sicurezza, sostenibilità, solidarietà, sviluppo, speranza di una terra particolare difficile e di uomini eroici. Tutti quelli che restano ancorati a una storia individuale e collettiva. Solo facendo rete e sistema su certe questione l’isola piccola può dare un futuro di speranza e fiducia alle nuove imprese e nuove generazioni, una Carta di Pantelleria che ha anticipato il Next Generation UE, cui oggi tutti guardano come la salvezza discesa dal cielo.
Non è così.
Come non è neanche utile per Pantelleria puntare su visioni mediatiche, palliative, estemporanee, effimere. Certo tutto serve, non si fa distinzione. Ma bisogna partire con basi solidi e quelle solidi riguardano il territorio, le sue produzioni, lo Zibibbo in assoluto. Il tessuto delle piccole aziende vitivinicole, viticole e frutticole, agricole vanno tutelate e sviluppate. Il Piano di Sviluppo Regionale di Palermo deve inserire le piccole isole in un piano autonomo e riservato: Pantelleria ha bisogni e necessità diverse dall’agroalimentare, dall’enogastronomia, dall’occupazione, dal turismo di Trapani o Catania o Siracusa che ha già “ a portata di mano” servizi generali e alla persona, sostegni al reddito e alle famiglie attrezzate in termini anche solo di sanità, trasporti, viabilità, utenze, digitalizzazione.
A Pantelleria le piccole aziende viticole sono diverse dalla sorelle siciliane, non parliamo rispetto a quello toscane o laziali. Il sottoscritto aveva parlato della Carta di Pantelleria alla stampa anche in occasione di Fivi a Piacenza a ottobre 2019. Pantelleria vuole salvaguardare le proprie peculiarità, come fanno tutti o almeno come tutti i territori docg e doc dovrebbero fare, in una cornice e in un palcoscenico dove la terra e il mare sono una cosa sola, dove essere contadini o pescatori è cosa diversa, ma con un DNA comune.
I vigneti, il vitigno, i terrazzamenti, l’alberello, la coltivazione, la raccolta manuale, la scelta dell’acino, il lavoro continuo, la lunga attesa che accompagnano tutta la filiera e “tutta la vita” nella cantina, fanno del vino-terra lo stesso bene inscindibile, beni immateriali tutelati. In questo contesto deve essere compresa senza se e senza ma anche la antica storia di quella “vitis vinifera” domestica che, qui, ha trovato l’habitat creato con saggezza e con costanza diventando l’icona, l’emblema, il simbolo di tutta la storia locale. Dal passito alla sostenibilità, dalla tutela della viticoltura alla difesa dell’ambiente, dal sostegno della attività agricola alla “vitalità-vivibilità” sull’isola partendo proprio dalla diffusione delle prime ricettività turistiche già dedicate all’efficienza sostenibile a 360 gradi.
Il Pnrr che i ministri Patuanelli e Cingolani e Colao stanno redigendo per la Commissione Europea deve tener conto che in Italia esistono almeno due agricolture: una competitiva all’avanguardia che già da anni trova nella politica agricola comunitaria una spalla utile e una agricoltura che da sola non ha futuro e speranza. Solo se questa agricoltura marginale è collocata al centro di un sistema sociale e civile completo e integrato ha una sua ragione di esistere con una occupazione certa e rispettata dagli altri e un reddito confacente ad una vita onesta e sicura in rapporto ai costi e benefici del luogo in cui si applica. Niente regalie e sconti, ma opportunità. in questo la Regione e la Provincia non può scordarsi o emarginare la Perla Nera. Io stesso “padano” non posso assistere a una agonia lenta, a una sopravvivenza, a una depauperazione dettata dall’esterno e da interessi di pochi a danno di tutti sull’isola pantesche. Ho già scritto due lettere-appello pubbliche al ministro Patuanelli su questi temi nazionali citando Pantelleria come esempio concreto.
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