Una scienziata esperta di biologia molecolare e genetica, Alma Dal Co, 33 anni, veneziana, è…
Alma Dal Co: un bel racconto col finale sbagliato. Ricordo di Roberto Pallocca
16/11/2022Roberto Pallocca ha scritto il suo ricordo personale di Alma Dal Co, conosciuta durante il Laboratorio di Scrittura Creativa tenutosi quest’estate a Pantelleria.
La storia di Alma è in queste parole un racconto con il finale sbagliato, proprio come una delle storie discusse insieme, un incontro rimasto incompiuto, stroncato da una morte inspiegabile e prematura.
Alma vogliamo ricordarla così: spumeggiante, solare, piena di vita e creatività com’era nella sua ultima estate a Pantelleria
di Roberto Pallocca
Esistono certi tipi di luoghi che hanno la capacità di fungere da acceleratori. Non parlo di luoghi geografici – non solo. Si tratta di alcune persone con cui, a prescindere dal luogo, crei un “luogo” in cui sentirsi a proprio agio è naturale, un territorio fertile, estremamente vitale, necessario.
Non è semplice da spiegare a chi non ha – non ha avuto – la fortuna di viverlo, ma questi “luoghi” rendono immediatamente familiare anche l’estraneo. Accelerano in maniera incontrollata quel processo di intimità progressiva che chiamiamo amicizia.
La scorsa estate ho avuto l’onore e il piacere di portare a Pantelleria, all’interno delle numerosissime iniziative culturali estive, il laboratorio di scrittura creativa sul racconto breve che porto avanti da cinque anni a Roma e provincia.
Si è trattato chiaramente di un’edizione particolare, racchiusa in una settimana, a dispetto dei sei-sette mesi ordinari, e pensata per scortare i partecipanti lungo un percorso breve, pericolosamente vigoroso, ma calcolato nei minimi dettagli per cercare di dare più stimoli e spunti possibili. Una scommessa, insomma.
Lì ho conosciuto Alma.
In un circolo di Pantelleria centro.
Un luglio torrido.
Seduta su una sedia di fronte a me e agli altri partecipanti al mio laboratorio.
Era la più giovane.
Ricordo esattamente la prima volta che l’ho vista, com’è entrata, come si è presentata. “Ciao, io sono Alma”. Un sorriso pulito, senza ombra di rimpianti. Una vitalità sobria ma profonda, contagiosa. Una giovinezza indossata come una bella promessa.
Mi ha colpito da subito il suo modo di muoversi, quasi indolente, esatto, mai nervoso. Ha parlato della sua professione di biologa e ricercatrice, della Svizzera dove lavorava, della sua Venezia, come fossero tutte grandi storie d’amore. Ci ha rivelato il suo rapporto speciale con la musica, la sua passione per il pianoforte che suonava fin dalla più giovane età.
E poi ricordo il modo in cui ha parlato di Pantelleria. Per lei era una casa, nell’accezione più ampia e privata che questo termine può significare. Un posto perfetto, dove tornava ogni volta che poteva, anche solo per pochi giorni, per godersi la prima e la più importante delle sue passioni: “Il mare”.
Il suo sguardo, mentre pronunciava queste due parole, non lo dimenticherò mai. Era innamorata del mare, della navigazione, dei fondali, di tutto ciò che appartiene a questo mondo. Ne parlava ad occhi accesi, senza parsimonia, senza riserve, senza paura. Incantata.
Per questo, a un certo punto, le ho chiesto: “E perché sei qui, a un corso di scrittura creativa, a luglio, a Pantelleria?”
Mi ha risposto in un modo che racconta molto bene il suo carattere, il suo approccio alla vita: “Perché scrivo da sempre, ma solo per me o per le pubblicazioni che curo per il mio lavoro, invece credo che la scrittura sia un modo bellissimo per condividere le storie con gli altri”.
Ecco, questa era Alma. Una ragazza in movimento perenne, alla ricerca di ispirazione e di emozioni, di percorsi di crescita e di conoscenza di sé. Così mi torna in mente, con l’avidità sana di chi è affamato di vita.
Il laboratorio, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, è decollato. Siamo diventati amici, prima che colleghi, e quella familiarità di cui parlavo all’inizio è diventata reale in un tempo irreale. Ci siamo scoperti complici, ancor prima di conoscerci, perché eravamo alla ricerca della stessa cosa: storie buone da raccontare. Potere magnifico della scrittura.
L’idea che aveva in mente, la storia che poi ha iniziato a scrivere e ha condiviso con noi, ci ha entusiasmato. Abbiamo parlato di quale fosse il punto di vista preferibile per raccontarla, il modo migliore per gestirla e il finale più adatto per sublimarla. La paura era buttare via un’idea ottima. C’è stato un dibattito profondo, perché ogni storia, anche la più semplice, ha talmente tante direzioni che a un certo punto non capisci più dove stai andando e dove vorresti andare. Ti perdi. E noi eravamo lì, a dirle che sì, quella commedia degli equivoci travestita da tragedia poteva funzionare davvero.
Ne ha scritta una buona parte. Era davvero ispirata. Al penultimo incontro, di venerdì, prima del gran finale che attendeva i racconti conclusi, ci ha sorpreso con un testo che non c’entrava nulla con quanto scritto fino ad allora. Era un modo originale e bello per salutarci tutti e dirci che il giorno dopo non ci sarebbe stata. All’alba sarebbe partita per la Tunisia. “Se non ci vado quando il mare è così piatto, non ci vado più, è un’occasione imperdibile, non posso lasciarmela scappare. Tanto noi restiamo in contatto, devo finire il racconto. E scriverne tanti altri”.
Ci siamo salutati così.
Con una storia a metà.
Con una risolutezza quasi esagerata.
Ma quando l’amore chiama, devi rispondere.
Nelle settimane e nei mesi successivi, il suo racconto, l’unico rimasto incompleto per la chiamata del mare, ha rimbalzato nelle nostre caselle di posta. È diventato un esercizio di stile. Ognuno dei partecipanti al laboratorio ha avuto il compito di inventarsi un finale, di concluderlo. Ora ne esistono tante versioni quanti eravamo noi, insieme a lei. E questa scrittura che si fa condivisione, che si fa vita, che si fa rapporto, mi commuove enormemente perché attraversa l’esistenza in un modo troppo cristallino e troppo onesto per essere trascurata. Si fa ricordo, adesso, e significato estremo di umanità.
Oggi ho appreso della sua scomparsa e non mi sembra possibile. È un finale che non riesco ad accettare.
“Non mi piace, non funziona”.
Ricordi, Alma, che dicevamo così con alcuni dei finali che pensavamo per il tuo racconto? “Non va bene, non è coerente”. Oppure: “Non sta in piedi, non è quello giusto”.
Ecco. Questo finale non è giusto. Non funziona. Ci lascia così. Senza parole. Senza nessuna di quelle maledette parole che abbiamo cercato insieme.
E non so perché, non l’ho ancora capito, ma sono stato l’unico a non aver concluso il tuo racconto. Non è stata mancanza di tempo, né di ispirazione, è come se avessi lasciato la tua storia a decantare. È lì, nella mia posta, senza il finale che dovrei dargli io e che non gli ho dato.
Quel che so e che mi frulla nella testa da mesi è che la tua storia sarebbe un’ottima base per una sceneggiatura teatrale. Te l’avevo detto, ci hai riso su. Ma io lo credevo davvero. E te l’ho detto di nuovo. Hai riso ancora, poi hai aggiunto “Perché no?”.
Magari un giorno, chissà, le tue parole, insieme alle mie, diventeranno teatro.
Perché no?
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