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Alma Dal Co: un bel racconto col finale sbagliato. Ricordo di Roberto Pallocca

Roberto Pallocca ha scritto il suo ricordo personale di Alma Dal Co, conosciuta durante il Laboratorio di Scrittura Creativa tenutosi quest’estate a Pantelleria.

La storia di Alma è in queste parole un racconto con il finale sbagliato, proprio come una delle storie discusse insieme, un incontro rimasto incompiuto, stroncato da una morte inspiegabile e prematura.

Alma vogliamo ricordarla così: spumeggiante, solare, piena di vita e creatività com’era nella sua ultima estate a Pantelleria

di Rober­to Pallocca

Esi­sto­no cer­ti tipi di luo­ghi che han­no la capa­ci­tà di fun­ge­re da acce­le­ra­to­ri. Non par­lo di luo­ghi geo­gra­fi­ci – non solo. Si trat­ta di alcu­ne per­so­ne con cui, a pre­scin­de­re dal luo­go, crei un “luo­go” in cui sen­tir­si a pro­prio agio è natu­ra­le, un ter­ri­to­rio fer­ti­le, estre­ma­men­te vita­le, necessario.

Non è sem­pli­ce da spie­ga­re a chi non ha – non ha avu­to – la for­tu­na di viver­lo, ma que­sti “luo­ghi” ren­do­no imme­dia­ta­men­te fami­lia­re anche l’estraneo. Acce­le­ra­no in manie­ra incon­trol­la­ta quel pro­ces­so di inti­mi­tà pro­gres­si­va che chia­mia­mo amicizia.

La scor­sa esta­te ho avu­to l’onore e il pia­ce­re di por­ta­re a Pan­tel­le­ria, all’interno del­le nume­ro­sis­si­me ini­zia­ti­ve cul­tu­ra­li esti­ve, il labo­ra­to­rio di scrit­tu­ra crea­ti­va sul rac­con­to bre­ve che por­to avan­ti da cin­que anni a Roma e provincia.

Si è trat­ta­to chia­ra­men­te di un’edizione par­ti­co­la­re, rac­chiu­sa in una set­ti­ma­na, a dispet­to dei sei-set­te mesi ordi­na­ri, e pen­sa­ta per scor­ta­re i par­te­ci­pan­ti lun­go un per­cor­so bre­ve, peri­co­lo­sa­men­te vigo­ro­so, ma cal­co­la­to nei mini­mi det­ta­gli per cer­ca­re di dare più sti­mo­li e spun­ti pos­si­bi­li. Una scom­mes­sa, insomma.

Lì ho cono­sciu­to Alma.

In un cir­co­lo di Pan­tel­le­ria centro.

Un luglio torrido.

Sedu­ta su una sedia di fron­te a me e agli altri par­te­ci­pan­ti al mio laboratorio.

Era la più giovane.

Ricor­do esat­ta­men­te la pri­ma vol­ta che l’ho vista, com’è entra­ta, come si è pre­sen­ta­ta. “Ciao, io sono Alma”. Un sor­ri­so puli­to, sen­za ombra di rim­pian­ti. Una vita­li­tà sobria ma pro­fon­da, con­ta­gio­sa. Una gio­vi­nez­za indos­sa­ta come una bel­la promessa.

Mi ha col­pi­to da subi­to il suo modo di muo­ver­si, qua­si indo­len­te, esat­to, mai ner­vo­so. Ha par­la­to del­la sua pro­fes­sio­ne di bio­lo­ga e ricer­ca­tri­ce, del­la Sviz­ze­ra dove lavo­ra­va, del­la sua Vene­zia, come fos­se­ro tut­te gran­di sto­rie d’amore. Ci ha rive­la­to il suo rap­por­to spe­cia­le con la musi­ca, la sua pas­sio­ne per il pia­no­for­te che suo­na­va fin dal­la più gio­va­ne età.

E poi ricor­do il modo in cui ha par­la­to di Pan­tel­le­ria. Per lei era una casa, nell’accezione più ampia e pri­va­ta che que­sto ter­mi­ne può signi­fi­ca­re. Un posto per­fet­to, dove tor­na­va ogni vol­ta che pote­va, anche solo per pochi gior­ni, per goder­si la pri­ma e la più impor­tan­te del­le sue pas­sio­ni: “Il mare”.

Il suo sguar­do, men­tre pro­nun­cia­va que­ste due paro­le, non lo dimen­ti­che­rò mai. Era inna­mo­ra­ta del mare, del­la navi­ga­zio­ne, dei fon­da­li, di tut­to ciò che appar­tie­ne a que­sto mon­do. Ne par­la­va ad occhi acce­si, sen­za par­si­mo­nia, sen­za riser­ve, sen­za pau­ra. Incantata.

Per que­sto, a un cer­to pun­to, le ho chie­sto: “E per­ché sei qui, a un cor­so di scrit­tu­ra crea­ti­va, a luglio, a Pan­tel­le­ria?

Mi ha rispo­sto in un modo che rac­con­ta mol­to bene il suo carat­te­re, il suo approc­cio alla vita: “Per­ché scri­vo da sem­pre, ma solo per me o per le pub­bli­ca­zio­ni che curo per il mio lavo­ro, inve­ce cre­do che la scrit­tu­ra sia un modo bel­lis­si­mo per con­di­vi­de­re le sto­rie con gli altri”.

Ecco, que­sta era Alma. Una ragaz­za in movi­men­to peren­ne, alla ricer­ca di ispi­ra­zio­ne e di emo­zio­ni, di per­cor­si di cre­sci­ta e di cono­scen­za di sé. Così mi tor­na in men­te, con l’avidità sana di chi è affa­ma­to di vita.

Il labo­ra­to­rio, gior­no dopo gior­no, minu­to dopo minu­to, è decol­la­to. Sia­mo diven­ta­ti ami­ci, pri­ma che col­le­ghi, e quel­la fami­lia­ri­tà di cui par­la­vo all’inizio è diven­ta­ta rea­le in un tem­po irrea­le. Ci sia­mo sco­per­ti com­pli­ci, ancor pri­ma di cono­scer­ci, per­ché era­va­mo alla ricer­ca del­la stes­sa cosa: sto­rie buo­ne da rac­con­ta­re. Pote­re magni­fi­co del­la scrittura.

L’idea che ave­va in men­te, la sto­ria che poi ha ini­zia­to a scri­ve­re e ha con­di­vi­so con noi, ci ha entu­sia­sma­to. Abbia­mo par­la­to di qua­le fos­se il pun­to di vista pre­fe­ri­bi­le per rac­con­tar­la, il modo miglio­re per gestir­la e il fina­le più adat­to per subli­mar­la. La pau­ra era but­ta­re via un’idea otti­ma. C’è sta­to un dibat­ti­to pro­fon­do, per­ché ogni sto­ria, anche la più sem­pli­ce, ha tal­men­te tan­te dire­zio­ni che a un cer­to pun­to non capi­sci più dove stai andan­do e dove vor­re­sti anda­re. Ti per­di. E noi era­va­mo lì, a dir­le che sì, quel­la com­me­dia degli equi­vo­ci tra­ve­sti­ta da tra­ge­dia pote­va fun­zio­na­re davvero.

Ne ha scrit­ta una buo­na par­te. Era dav­ve­ro ispi­ra­ta. Al penul­ti­mo incon­tro, di vener­dì, pri­ma del gran fina­le che atten­de­va i rac­con­ti con­clu­si, ci ha sor­pre­so con un testo che non c’entrava nul­la con quan­to scrit­to fino ad allo­ra. Era un modo ori­gi­na­le e bel­lo per salu­tar­ci tut­ti e dir­ci che il gior­no dopo non ci sareb­be sta­ta. All’alba sareb­be par­ti­ta per la Tuni­sia. “Se non ci vado quan­do il mare è così piat­to, non ci vado più, è un’occasione imper­di­bi­le, non pos­so lasciar­me­la scap­pa­re. Tan­to noi restia­mo in con­tat­to, devo fini­re il rac­con­to. E scri­ver­ne tan­ti altri”.

Ci sia­mo salu­ta­ti così.

Con una sto­ria a metà.

Con una riso­lu­tez­za qua­si esagerata.

Ma quan­do l’amore chia­ma, devi rispondere.

Nel­le set­ti­ma­ne e nei mesi suc­ces­si­vi, il suo rac­con­to, l’unico rima­sto incom­ple­to per la chia­ma­ta del mare, ha rim­bal­za­to nel­le nostre casel­le di posta. È diven­ta­to un eser­ci­zio di sti­le. Ognu­no dei par­te­ci­pan­ti al labo­ra­to­rio ha avu­to il com­pi­to di inven­tar­si un fina­le, di con­clu­der­lo. Ora ne esi­sto­no tan­te ver­sio­ni quan­ti era­va­mo noi, insie­me a lei. E que­sta scrit­tu­ra che si fa con­di­vi­sio­ne, che si fa vita, che si fa rap­por­to, mi com­muo­ve enor­me­men­te per­ché attra­ver­sa l’esistenza in un modo trop­po cri­stal­li­no e trop­po one­sto per esse­re tra­scu­ra­ta. Si fa ricor­do, ades­so, e signi­fi­ca­to estre­mo di umanità.

Oggi ho appre­so del­la sua scom­par­sa e non mi sem­bra pos­si­bi­le. È un fina­le che non rie­sco ad accettare.

Non mi pia­ce, non fun­zio­na”.

Ricor­di, Alma, che dice­va­mo così con alcu­ni dei fina­li che pen­sa­va­mo per il tuo rac­con­to? “Non va bene, non è coe­ren­te”. Oppu­re: “Non sta in pie­di, non è quel­lo giu­sto”.

Ecco. Que­sto fina­le non è giu­sto. Non fun­zio­na. Ci lascia così. Sen­za paro­le. Sen­za nes­su­na di quel­le male­det­te paro­le che abbia­mo cer­ca­to insieme.

E non so per­ché, non l’ho anco­ra capi­to, ma sono sta­to l’unico a non aver con­clu­so il tuo rac­con­to. Non è sta­ta man­can­za di tem­po, né di ispi­ra­zio­ne, è come se aves­si lascia­to la tua sto­ria a decan­ta­re. È lì, nel­la mia posta, sen­za il fina­le che dovrei dar­gli io e che non gli ho dato.

Quel che so e che mi frul­la nel­la testa da mesi è che la tua sto­ria sareb­be un’ottima base per una sce­neg­gia­tu­ra tea­tra­le. Te l’avevo det­to, ci hai riso su. Ma io lo cre­de­vo dav­ve­ro. E te l’ho det­to di nuo­vo. Hai riso anco­ra, poi hai aggiun­to “Per­ché no?”.

Maga­ri un gior­no, chis­sà, le tue paro­le, insie­me alle mie, diven­te­ran­no teatro.

Per­ché no?

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