Convegno Isole mediterranee. Intervento di Andrea Tusa
Storie, culture, patrimoni dedicato a Sebastiano Tusa Favignana
Agricoltura eroica tra passato e presente
Un caloroso saluto a tutti. Ringrazio tutti i presenti, i relatori, gli organizzatori dell’evento e il personale della Fondazione Ignazio Buttitta. Ho sperato fino a pochi giorni fa di riuscire a trovare la possibilità di divincolarmi e di venire almeno per una giornata, ma la mia vita è sempre più rapida e frenetica e nell’ultimo mese sono successe tante di quelle cose che si potrebbe scrivere un libro: eventi positivi e negativi, novità di tutti i tipi, come al solito. Troppi impegni e responsabilità, sia in ambito lavorativo che familiare: impegni necessari che non mi sono scelto, e impegni e responsabilità che ho voluto assumermi.
Negli ultimi due mesi ho dovuto prendere delle decisioni importanti e sofferte. Sono rimasto solo. I miei cari non possono o non vogliono aiutarmi, e mi ritrovo a gestire molte questioni importanti e delicate, praticamente da solo o quasi. Allontanarmi da Pantelleria nel mezzo della campagna elettorale, senza una casa, da solo , questa volta non era possibile. Inoltre, la nave per Trapani impiega 7 ore, (quando parte), poiché appena il mare è leggermente mosso la compagnia Caronte e la Capitaneria di Porto impediscono per motivi di sicurezza la partenza di un nave che ha ormai compiuto 50 anni.
Non avendo il dono dell’ubiquità, tantomeno il potere, le capacità organizzative e relazionali che aveva mio padre, per la prima volta non posso essere presente al convegno in sua memoria, l’ultimo di una serie di convegni che abbiamo ideato e deciso di svolgere con il prezioso supporto della Fondazione Buttitta. Mi dispiace molto, anche perché si tratta dell’ultimo di una serie di convegni che in questi anni abbiamo avuto la possibilità di ideare, organizzare e svolgere grazie al sostegno del BCIF (Boeing Community Investment Fund). Nonostante si tratti dell’ultimo convegno nell’ambito del BCIF, è chiaro che tra qualche mese continueremo a lavorare con il neonato Centro Studi Vincenzo e Sebastiano Tusa per l’organizzazione e lo svolgimento di eventi e attività di vario tipo, con la stessa passione e la stessa perseveranza che ci ha contraddistinti in questi anni.
Avevo preparato per l’occasione un intervento dal titolo “Agricoltura eroica tra passato e presente: il caso di Pantelleria”. In queste righe farò un breve accenno, introducendo a grandi linee la questione.
AGRICOLTURA “EROICA” TRA PASSATO E PRESENTE: IL CASO DI PANTELLERIA
Sebbene si tratti di un concetto ormai in voga da decenni, nell’enciclopedia online “Wikipedia” non esiste la voce “agricoltura eroica”. Ritroviamo invece la “viticoltura eroica”, che viene così definita: «Con il termine “viticoltura eroica” ci si riferisce a una tipologia di coltivazione svolta in condizioni estreme rispetto alla coltivazione tradizionale. Di solito gli appezzamenti di questo genere di viticoltura sono piccoli, ma di elevata qualità». Non potendo affrontare adeguatamente la questione da un punto di vista teorico ed epistemologico, in questa breve relazione introdurrò subito dei passaggi fondamentali della mia ricerca sul campo nell’ambito del mio dottorato.
“Non ne capiscono niente di agricoltura a Pantelleria”. Questa frase pronunciata da un informatore nell’ultimo periodo della mia ricerca sul campo custodisce in effetti un fondo di verità. A parte qualche rara eccezione rintracciabile tra pochissimi giovani agricoltori, non esiste, tra gli agricoltori panteschi, alcuna pratica di sperimentazione. Dopo decenni di emigrazione, a causa di un fortissimo e ormai esteso sentimento di rassegnazione e disillusione, e in ragione del mancato ricambio generazionale, ci si limita a replicare le poche pratiche tramandate dai padri e dai nonni, “svuotate” dei numerosi accorgimenti e attenzioni che venivano invece applicati in passato. La viticoltura dell’isola, che ha da sempre costituito il motore economico dell’isola, è oggi monopolizzata dalle due grandi aziende che controllano il Consorzio di tutela Pantelleria DOC. A differenza del Parco regionale dell’Etna, dove negli ultimi anni abbiamo assistito a una sorta di “miracolo” in cui un tessuto economico imprenditoriale “democratico” ha permesso la nascita di circa 140 aziende vitivinicole che producono dei prodotti di alta qualità, il panorama pantesco è a dir poco desolante, e in questo senso costituisce una sorta di “unicum” nel mondo vitivinicolo italiano.
A causa di questo duopolio, che ha tra i vari effetti disastrosi un’imposizione del prezzo dell’uva molto basso, in quest’isola i piccoli agricoltori e le numerose piccole aziende non riescono a sostenere economicamente la propria attività, non arrivando spesso e volentieri neanche a coprire le spese. Inoltre, la mancanza di manodopera, il massiccio uso di diserbanti, fertilizzanti chimici e mezzi meccanici ha ridotto ed eradicato quasi del tutto l’agricoltura “eroica”, che rappresenta appunto la “facciata” ideale dell’immagine dell’isola proiettata al mondo dal Parco Nazionale e dal Consorzio di tutela Pantelleria DOC. Così, al termine (sia pure momentaneo) del mio percorso, mi sono trovato a registrare come non si sia mai raggiunto un livello di degrado generale così alto nell’isola, sia nell’immaginario collettivo che nella realtà quotidiana che si osserva e si vive ogni giorno.
La popolazione è ormai disperata, piena di risentimento e spesso d’ira, ma anche di disillusa rassegnazione a causa di una situazione di malessere sociale e di crisi politica ed economica che non si viveva da decenni. Sempre più rare sono le occasioni di socialità e di dibattito pubblico, non meno dei comizi, della presenza dei partiti e dei movimenti politici. I social sembrano essersi sostituiti a tutte le forme di comunicazione e iniziativa politica.
Nel corso delle interviste e attraverso l’osservazione partecipante, ho raccolto tra gli agricoltori, ma in generale tra moltissime persone, un sentimento di paura diffusa e permeante: paura delle istituzioni e delle forze dell’ordine, paura e chiusura nei confronti dell’Altro, del diverso, delle novità. Nemmeno se ci si offrisse come volontari per lavorare nei terreni insieme a loro la loro risposta sarebbe affermativa, a meno di effettuare una lunga e laboriosa opera di persuasione. Così non è stato per me invece con un paio di agricoltori, che costituiscono, nel panorama locale, una rara eccezione, essendo portatori di una visione particolarmente aperta della vita e della realtà e dotati di un certo livello di istruzione, esperienza e consapevolezza, maturate anche dopo una lunga esperienza di vita all’estero. I due agricoltori in questione mi hanno permesso di lavorare gratuitamente con loro. La collaborazione e l’amicizia con queste persone mi hanno permesso di conoscere meglio e di imparare le tecniche di coltivazione del cappero e della vite ad alberello. Al tempo stesso, questo rapporto mi ha permesso di raccogliere numerosi dati e soprattutto di cogliere quella prospettiva emica fondamentale per una corretta ed efficace analisi antropologica.
La cosiddetta “fase 2” dell’emergenza COVID, con la conseguente crisi economica e sociale, ha fatto emergere problematiche serie e strutturali che interessano l’isola ormai da vari decenni con maggiore rilievo e in forme diverse rispetto a pochi anni fa. Mi riferisco innanzitutto allo spaventoso “vuoto identitario” in cui si trovano l’isola e la sua comunità. La perdita dei valori ancestrali, la disgregazione socioculturale della comunità stessa e la progressiva omologazione culturale, sono dinamiche che si sono manifestate già dagli anni Sessanta-Settanta, per acuirsi poi agli inizi del decennio successivo. Oggi i risultati di decenni di globalizzazione economica e culturale sono sotto gli occhi di tutti. Siamo al culmine di una crisi identitaria senza precedenti, che causa una serie di fenomeni tangibili e deleteri per la vita dell’isola e della comunità pantesca. Quelli che erano i valori e le visioni del mondo legate alla realtà contadina, che avevano cominciato a perdersi a partire già dal secondo dopoguerra, si sono dissolti in modo sempre più importante e preponderante nei decenni successivi, anche a causa delle forti ondate di emigrazione, seguite da un invecchiamento della popolazione e da un drastico calo delle nascite.
In questo quadro, la presenza e le attività del Parco sono vissute da molti come causa di ulteriori disagi, problemi economici e ostacoli burocratici. La mia costante attività di denuncia e di attivismo politico sui social e sui giornali ha influito notevolmente sullo svolgimento della ricerca sul campo. In effetti, la consapevolezza che ho acquisito in questi anni rispetto alla potenza incontrollabile e all’influenza smisurata dei social network mi ha portato a maturare una serie di riflessioni. La mia “libertà d’espressione” e il mio senso etico, che mi hanno spinto nel tempo a intraprendere una frequente e ormai rara opera di denuncia e di critica rispetto a numerose dinamiche contemporanee dell’isola, hanno involontariamente causato tutta una serie di reazioni e comportamenti tanto nei soggetti intervistati che in quelli con i quali ho condotto l’osservazione partecipante. Con un certo rammarico mi sono presto accorto che le mie denunce hanno provocato una serie di inimicizie nei miei confronti.
Un qualche atteggiamento “mafioso”, per quanto celato, domina su diversi ambiti della vita quotidiana. La mia coscienza di ricercatore “impegnato” mi ha spinto a schierarmi più volte dalla parte di alcuni agricoltori e delle piccole aziende agricole riunite nell’associazione “Pantelleria Enoica” (ex Pantelleria Eroica). Ho distribuito le poche mappe dell’isola che l’associazione ha recentemente ideato e stampato (giugno 2022) in alcuni esercizi commerciali molto frequentati: supermercati, bar, ristoranti, e altri locali. Con questo atto profondamente politico ho dimostrato alla comunità, seppur involontariamente, la mia posizione rispetto al complesso e problematico sistema dell’agricoltura dell’isola, permeato da forti disuguaglianze. Pochissimi, infatti, hanno il coraggio di esprimere la propria opinione pubblicamente, nella vita reale tantomeno in quella virtuale, ovvero sui social. Questo vale per tutti i cittadini, ma in particolare per coloro che lavorano all’interno delle amministrazioni pubbliche (Comune, Parco Nazionale, Regione Siciliana). Il timore, la reticenza, che sconfinano a volte in vere e proprie forme di omertà, limitano gravemente la libertà di espressione, e al tempo stesso accrescono il malessere psicologico e l’instabilità sociale. Avendo anche preso la parola su alcuni quotidiani locali, sia su questioni legate all’agricoltura che in riferimento all’archeologia e al lavoro decennale di mio padre sull’isola, mi sono reso conto di avere creato delle aspettative nei miei confronti da parte della popolazione. In particolare, in seguito agli ultimi articoli che ho redatto sul convegno organizzato dal Parco Nazionale, al quale ho preso parte invitato dai professori di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Palermo, ho notato un cambiamento decisivo nei comportamenti e nelle visioni dei soggetti operanti all’interno delle istituzioni nonché dei vari addetti del comparto agricolo pantesco.
In seguito al mio intervento al convegno promosso dal Parco presso il dipartimento Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Palermo ho avuto una serie di feedback contrastanti da parte del personale dell’Ente Parco, ma in ogni caso è evidente come il mio approccio critico e completamente fuori dagli schemi e dall’impostazione del convegno abbia suscitato non poco stupore e interesse.
Ho potuto concludere anche come vi sia nell’isola un interesse crescente intorno a discorsi sempre più ricorrenti sulla “località”. Il turista è sempre più attratto e interessato dai prodotti locali, dalle produzioni culturali locali e “autentiche”. Questo forte appeal proveniente dalla gran parte dei turisti e dei non panteschi, si scontra con una pressoché totale mancanza di prodotti locali. Nei supermercati, così come nella maggior parte dei bar, dei ristoranti e delle strutture ricettive, la quasi totalità dei prodotti alimentari sono importati dall’Italia o dall’estero. A fronte di questa sorprendente faglia che spiazza continuamente turisti e visitatori, i discorsi sulla località non cessano invece di essere alimentati e veicolati dal Parco Nazionale e dalle istituzioni.
Sul territorio pantesco, ho potuto constatare in modo particolarmente evidente ciò che afferma Marco Aime in Etnografia del Quotidiano. Riferendosi alla società italiana in generale, Aime parla di un profondo rapporto asimmetrico tra stato e cittadino, che impedisce di fatto la nascita di una coscienza collettiva. Questo rapporto asimmetrico, che nel nostro paese assume ancora tratti tipici dei regimi autoritari, vede il cittadino trattato spesso come suddito, in una relazione conflittuale all’interno della quale lo Stato è percepito come tendenzialmente vessatorio. In effetti, quando si parla di Stato i discorsi più ricorrenti degli informatori riguardano l’eccessiva imposizione di tasse, norme, obblighi, divieti. E ancora, se analizzando la parata del 2 giugno Aime sostiene che lo stato si identifica molto di più nel suo aspetto bellico-militare che non nella società civile (Aime 2018:12–13), possiamo egualmente affermare che a Pantelleria, se si escludono le attività delle istituzioni locali (Comune, Parco), la presenza dello Stato è marcata in modo preponderante dalle numerose installazioni militari (sia dismesse che operative), nonché dalle operazioni militari di volo che sono spesso finalizzate alla messa in scena di veri e propri spettacoli e coreografie come quelli delle Frecce Tricolori. L’apertura al pubblico dell’hangar militare Nervi, costruito durante il secondo conflitto mondiale e attualmente in uso, costituisce un’ulteriore prova in tal senso. Queste manifestazioni contribuiscono senza dubbio ad accrescere nella popolazione un sentimento di appartenenza nei confronti dello stato-nazione, che si manifesta appunto quasi esclusivamente nella sua forza militare, oltre che nei numerosi vincoli burocratici e negli opprimenti oneri fiscali.
In questo quadro socio-culturale estremamente complesso e poliedrico, l’agricoltura “eroica” a Pantelleria sembra privata della sua stessa essenza, oltre che della sua storia e della sua identità.
Nasco a Palermo il 15/10/1985. Dopo essermi diplomato al Liceo classico G.Meli di Palermo, mi sono trasferito a Roma dove ho studiato Teorie e pratiche dell’antropologia all’Università La Sapienza. Dopo la laurea triennale a Roma, decido di trasferirmi in Francia dove imparo il francese e studia all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Marsiglia. Ho conseguito il master di primo e secondo livello in Ricerche comparative in scienze sociali (antropologia, sociologia, storia) e ho deciso di tornare in Italia, dove vive tra Roma e Palermo, effettuando impieghi e stage di vario tipo. Nel 2007 e nel 2008 ho svolto alcune missioni in Kenya e in Egitto lavorando come “esperto di antropologia” presso alcuni Resort di lusso per la divulgazione delle conoscenze antropologiche tra i turisti. Lavoro per varie ONG impegnate nella cooperazione internazionale, nella lotta alla dispersione scolastica, nell’assistenza ai migranti. Ho svolto un tirocinio di 6 mesi a Lisbona nel “Centro portugues refugiados” grazie al progetto “Leonardo” dell’UE. Ho svolto a Palermo un tirocinio presso la fondazione Ignazio Buttitta e il Museo delle Marionette, nell’ambito del progetto “Garanzia giovani”. Nel 2017 sono stato chiamato dal Rettorato della regione Alpes-Provence-Cote d’Azur per una missione di insegnamento della lingua italiana dapprima in un liceo a Marsiglia e successivamente in una scuola media vicino Marsiglia. Nel 2018 ho vinto una borsa di dottorato in Scienze del patrimonio culturale presso l’Università di Palermo per svolgere una ricerca di antropologia sulle dinamiche innescate nella comunità pantesca dai processi di patrimonializzazione UNESCO della Vite ad Alberello e dei muretti a secco, e dall’istituzione del Parco Nazionale di Pantelleria.