Diana Ceni ha portato in scena nella sua casa pantesca MATER, il 29 agosto scorso, un monologo toccante, profondo, che l’attrice ha regalato agli spettatori senza risparmiarsi
Un gioiello di interpretazione e emozione
Se avete perso lo spettacolo, eccovi la registrazione
di Francesca Marrucci
Piccola, minuta, potente, toccante. Diana Ceni è così, una gemma solare e sorridente che racchiude una forza scenica ed espressiva che non ti aspetteresti, che ti travolge.
La prima volta che l’ho vista recitare, durante il Covid, su uno schermo, mi lasciò senza parole per la forza e l’intensità della sua interpretazione di Clitemnestra di Yourcenar, in una trasformazione così lontana dalla Diana gentile che conoscevo: fragile nel corpo, ma solida nello spirito.
Queste sue caratteristiche, quasi ossimori in sé, le ha trasfuse tutte nel suo MATER, dico suo perché di Diana c’è tanto, non solo nelle genialità dell’adattamento, nelle musiche, ma nella visione stessa del monologo.
Una Madre con la M maiuscola. Madonna e donna, Vergine scelta e popolana affamata, madre orgogliosa e angosciata di un figlio unico, come unico è ogni figlio a sua madre. Un parallelo crudo e coinvolgente, per questo assolutamente trascinante, tra la Madonna angosciata per la sorte segnata del Figlio Prediletto e una popolana, povera, che nelle difficoltà quotidiane, condivide il dolore per il figlio, che sarà destinato a soffrire anch’egli, ma per la condizione sociale.
E la domanda che Diana-Madre ci pone, perché?, è terribile come la risposta che nasce nello spettatore seguendo il filo dei pensieri della donna, pensieri chiari e lucidi, seppur pieni di pena, espressi in una lingua sua, fatta di tante lingue e tanti dialetti, come a rappresentare la stessa angoscia di tutte le madri del mondo.
Più volte Diana-Madre sembra chiedere aiuto allo spettatore, che non può che rimanere lì, impotente, ad assorbire la forza di un’interpretazione che colpisce come un pugno allo stomaco e lo lascia con l’amarezza di risposte cattive, da scordare.
Che senso ha la vita se dobbiamo soffrire? Ce lo chiede la Mater stringendo le fasce di un bimbo contadino che presto si trasformano nella Sindone di Cristo, in un destino comune, insensibile all’angoscia di una, cento, mille madri, indifferente alla forza emotiva che Diana profonde in un monologo che lascia ammutoliti.
Ecco, la grandezza di Diana Ceni è in questa capacità di rendere immensa ogni parola, ogni gesto, ogni singola, tragica emozione e porgercela, quasi come un lamento, come in una richiesta d’aiuto. E noi siamo lì con lei, parte della storia, della scena, dell’angoscia, parte della sua impotenza di madre. Parte della sua straordinaria capacità di interprete.
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Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.