Con un’affluenza del 7% alle ore 12.00, Pantelleria è in completa controtendenza con il resto…
Pantelleria: donna data alle fiamme dal compagno. L’Editoriale
24/09/2023Dopo l’episodio di ieri in cui è rimasta vittima Annalisa Fontana, arsa viva dal compagno, molte sono le riflessioni da fare su come la società si comporta di fronte alla violenza sulle donne, sulle parole che usiamo, i giudizi che diamo
Pantelleria, come il resto del Paese, non fa eccezione, cominciamo a fare la differenza dalla nostra isola
di Francesca Marrucci
La comunità di Pantelleria si è svegliata stamattina ancora frastornata ed incredula per quanto accaduto ieri ad Annalisa Fontana, 48 anni, arsa viva dal suo compagno Onofrio Bronzolino, 52 anni, pregiudicato con precedenti per spaccio, dopo una lite casalinga.
La donna è ora ricoverata in condizioni disperate all’Ospedale Civico di Palermo, anche se i medici hanno dato speranze quasi nulle, viste le ustioni gravi estese sul 70% del corpo.
In quello stesso ospedale è ricoverato anche il suo aguzzino, che nel maldestro tentativo omicida è rimasto a sua volta ferito al volto dal fuoco e rischia di rimanere cieco. Non c’è pericolo di vita per lui, solo la certezza del carcere.
In questa tragedia, non dimentichiamo i cinque figli della donna, vittime anch’essi di un episodio inaspettato in una situazione a lungo sottovalutata.
Le voci della comunità pantesca in queste ore si rincorrono nei bar, nelle chat, sulle linee telefoniche.
C’è chi è scioccato, chi è arrabbiato, chi è senza parole, ma anche chi denuncia una mancanza di attenzione di una società che spesso preferisce girare la testa dall’altra parte. ‘Era una brava persona, non me lo aspettavo”, dicono alcuni, anche se, fortunatamente, sono più quelli che dedicano un pensiero alla vittima, donna solare, energica, a cui volevano bene in tanti.
Qualcuno ha anche il coraggio di ricordare che spesso si lamentava al lavoro della gelosia ossessiva del compagno, ma lei per prima, probabilmente, mai avrebbe immaginato un epilogo simile. Nelle voci e opinioni che si susseguono, spesso condite di pettegolezzi inopportuni e fantasiose ricostruzioni, Annalisa spesso scompare e questo fa ancora più male.
La dichiarazione del Sindaco
Il Sindaco ha rilasciato alle agenzie una dichiarazione che manifesta lo sconcerto della comunità. “Sono davvero sconvolto, la vicenda ancora è tutta da ricostruire. So che ci sarebbe stata una lite e il marito ha gettato della benzina sulla donna. Sia la moglie che il marito sono ricoverati. Siamo in attesa di ricevere notizie dall’ospedale sulle condizioni. Hanno detto che ci sono ustioni sul 70% del corpo”.
Però aggiunge anche: “In paese non si era mai registrato un fatto così grave, solo qualche rissa denunciata ai carabinieri, ma mai nulla di così drammatico. Speriamo che la donna si possa salvare”.
Ecco, il Sindaco forse non è edotto sul fatto che la violenza sulle donne è fatto avulso dalle risse da bar e che se le risse sono magari presenti, ma sporadiche, Servizi Sociali e Carabinieri in questi anni hanno dovuto affrontare decine e decine di casi di donne e minori che subivano violenze domestiche sull’isola, tanto che è stato fatto un ciclo di conferenze, accordi e collaborazioni con le Forze dell’Ordine e le associazioni di settore proprio per trovare delle soluzioni utili alla continua emergenza.
Quindi, forse era il caso di dire che il problema c’è e anche con numeri importanti, solo che finora, anche grazie alla sinergia tra Servizi Sociali e Carabinieri, non era sfociato in atti così gravi e definitivi.
Disagio sociale? Troppo comodo!
Del resto, mi è capitato anche di leggere un articolo di un giornale locale che derubrica il fatto a mero ‘disagio sociale’, sottolineando ancora una volta la distanza abissale tra chi vuole negare una realtà presente e preoccupante e chi la vive quotidianamente.
Le violenze domestiche non sono il frutto di disagio sociale. Chi continua ad affermarlo non fa che nascondersi dietro un dito.
In questi anni ho conosciuto donne benestanti, professioniste note dell’isola che hanno alle spalle storie durissime dalle quali sono uscite con fatica, dalle quali non riescono ad uscire ancora. Il disagio sociale allora dov’è? Nella società che si rifiuta di ammettere che c’è un diffuso problema legato al rapporto uomo-donna in Italia e Pantelleria non fa eccezione, anzi l’isola accentua alcune singolarità.
La marcia di solidarietà
Ben venga la marcia di solidarietà indetta dal Sindaco per mercoledì prossimo, anche perché Pantelleria ora è sui media nazionali con questa notizia e già ha nella sua storia il femminicidio di un’altra sua isolana, ma c’è da chiedersi quanti di quelli che parteciperanno lo faranno con coerenza, rifletteranno sulla propria e le altrui condizioni per individuare un segno, un gesto, un allarme che è stato lanciato e che nessuno sta ascoltando.
Soprattutto, c’è da chiedersi seriamente, quando il rispetto delle donne non è più così importante? Riguarda solo alcuni uomini e alcuni no? Ci sono uomini che possono e altri no? Cos’è considerata violenza? Si può sorvolare anche su uno schiaffo dato in pubblico davanti a tutti? O quello è giustificato come ‘affare familiare’ di un personaggio politico e quindi esente da giudizio? Cos’è allora il rispetto per le donne?
Ecco, riflettiamo su questo, perché una bella marcia, seppure saremo tutti lì in presenza o con il cuore, non risolve il problema, deve essere un primo passo per continuare un percorso serio di sensibilizzazione già in itinere sull’isola.
Come non lo risolve dividere le violenze in ‘problemi’ e ‘affari familiari’ a seconda di chi li compie.
Come non lo risolve liquidare la storia di Annalisa in mero disagio sociale, come a dire, con una totale mancanza di rispetto verso questa donna: beh, in un contesto come quello, prima o poi è normale che capiti.
No. Non è affatto normale!
No, non è normale che qualcuno ti dia fuoco perché abiti alle case popolari, perché non hai un reddito alto, perché magari è un poco di buono. Non è normale. Dire che lo è, equivale a giustificare e non è accettabile.
Non è normale che una donna che lavora, magari come impiegata di banca, o come imprenditrice, o come libera professionista, debba stare attenta a non contraddire il compagno per timore di essere presa a schiaffi in pubblico, presa a calci a casa, mandata in ospedale con un occhio nero e qualche dente scheggiato.
Non è normale che i figli debbano assistere a tutto questo e spesso subirne le conseguenze non solo psicologiche, ma anche fisiche.
Non è normale per nessuna situazione, nessuna famiglia, nessun ceto sociale. Mai.
Il grido di aiuto muto
Le donne che cadono vittime di rapporti tossici non sempre riescono a capire cosa succede. Quando lo capiscono spesso è troppo tardi. Spesso lo capiscono, ma non hanno il coraggio e la forza di liberarsi dal giogo del loro aguzzino, che è innanzitutto psicologico. Spesso lo capiscono, ma tengono botta per timore di ritorsioni sui figli, e tenere botta in questo caso significa prendere tante botte.
Il loro è un grido d’aiuto muto, fatto di sguardi, di dolore, di sofferenza, di maschere, di gesti che anche se sappiamo interpretare, spesso facciamo finta di non vedere.
Per senso di inadeguatezza, impotenza, paura.
E le lasciamo sole. Sole nelle loro case da ricche borghesi o nelle loro case popolari.
Sole nelle fatiche quotidiane di lavori che sono una boccata d’aria, ma possono diventare condanne definitive per una parola, uno sguardo, un gesto male interpretato.
Sole, perché sono ‘affari di famiglia’ e non bisogna impicciarsi.
Sole perché “lui era tanto una brava persona” e “magari lei se l’è cercata”.
Ecco, la violenza sulle donne è tutto questo e tanto altro ed è colpa di noi tutti, di una società che preferisce mettere la testa sotto la sabbia e negare la realtà o, peggio, quando fa comodo addirittura giustificarla.
Poi, quando il danno è fatto ed irrecuperabile, stiamo tutti lì a pontificare, a giudicare, a tracciare linee nette di demarcazione, perché a noi non può succedere, questo capita solo a quelle lì. Fino a quando ‘quelle lì’ non siamo noi, le nostre figlie, le nostre sorelle, cugine, amiche, vicine di casa. Poi, c’è lo sgomento.
Ora siamo sgomenti.
Ora andremo a dire no alla violenza in quella marcia che spero sia molto partecipata (e non solo da donne!) e sfogheremo un po’ di quell’angoscia che il destino di Annalisa ci ha lasciato addosso.
Ma la differenza dobbiamo farla subito, l’indomani. Non negando più il problema e continuando a sostenere il lavoro fatto per arginarlo, se non risolverlo. Non girandoci dall’altra parte.
Lo dobbiamo a tutte le donne, anche a quelle convinte che uno schiaffo ogni tanto ci sta, che la gelosia è una forma d’amore sincera, che bisogna chiedere il permesso al proprio compagno per poter uscire con le amiche.
Lo dobbiamo ad Annalisa, ai suoi figli, a quanti la amano e a quest’isola.
ECCO IL MANIFESTO CHE INDICE LA MARCIA DI SOLIDARIETÁ
Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.