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Ci scrive Pamela: via da Pantelleria per sfuggire al marito violento

violenza sulle donne

Ecco la terza lettera di testimonianza arrivata ieri in Redazione. Pamela, con estremo coraggio, racconta la sua storia e le difficoltà legate alle lungaggini della legge, ma soprattutto parla direttamente alle donne pantesche vittime di violenza. 

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Ciao Fran­ce­sca,

ini­zio con il rin­gra­ziar­ti per quel­lo che stai facen­do per noi don­ne vit­ti­me di violenza.

Ti rac­con­to ciò che sto viven­do io.

Mi chia­mo Pame­la e dal 24 otto­bre 2022 sono scap­pa­ta con mia figlia da Pan­tel­le­ria, dopo l’ennesima minac­cia di uccidermi.

La vio­len­za ini­zia poco dopo il matri­mo­nio, ma que­sto esse­re era ed è tal­men­te abi­le a rag­gi­ra­re la men­te e mi face­va cre­de­re che ero io quel­la sba­glia­ta, che non ser­vi­vo a nien­te, che non ero buo­na per nien­te, né per il lavo­ro né per la fami­glia e nep­pu­re per la casa.

Ho pro­va­to diver­se vol­te a scap­pa­re di casa.

Nel giu­gno 2021, ho tra­scor­so la not­te da mia coma­re, dopo che ave­va assi­sti­to ai suoi insul­ti sen­za moti­vo, sen­za una discus­sio­ne, ma solo det­ta­to dall’alcool, lei mi ha det­to: “Tu sta­se­ra ver­rai da me con i bam­bi­ni”.

L’indomani abbia­mo pre­so la nave, ma lui è arri­va­to a Tra­pa­ni pri­ma di noi e come sem­pre face­va il gior­no dopo un’aggressione, pian­ge­va, si met­te­va in ginoc­chio e chie­de­va scusa.

La sce­neg­gia­ta dura­va qual­che gior­no e dopo era di nuo­vo ubria­co e di nuo­vo dove­vo subi­re vio­len­za ver­ba­le e a vol­te anche fisica.

Tan­te vol­te io e i miei figli abbia­mo dor­mi­to in mac­chi­na per pau­ra che met­tes­se in atto ciò che diceva.

Un gior­no io e i miei figli sia­mo scap­pa­ti in mez­zo al ter­re­no di fron­te a casa, scal­zi, con lui che ci urla­va con­tro ed io chie­de­vo aiu­to, chie­de­vo di chia­ma­re i Cara­bi­nie­ri e c’era chi sta­va nasco­sto die­tro le impo­ste e sta­va a guardare.

Qual­cu­no alla fine ha chia­ma­to mio zio set­tan­ten­ne per far­lo sali­re a casa a cal­mar­lo, men­tre loro si guar­da­va­no la scena.

Io ho avu­to il corag­gio di denun­cia­re, anche gra­zie alla mia fami­glia, a mia madre, a mio fra­tel­lo e ad alcu­ni ami­ci che oggi, a distan­za di qua­si un anno, con­ti­nua­no a star­mi vicino.

Io sto per­den­do il mio posto di lavo­ro, lui ha l’obbligo di dimo­ra a Pan­tel­le­ria, per­ché era venu­to qui e mi ave­va chiu­sa a casa, minac­cian­do di ucci­der­mi. In un’altra occa­sio­ne mi ha segui­ta con la macchina.

La mia lamen­te­la è che i tem­pi di atte­sa per il pro­ces­so sono mol­to lun­ghi e io non mi sen­to tutelata.

Tut­ti dico­no di denun­cia­re ed io sono d’accordo.

Ho por­ta­to regi­stra­zio­ni e testi­mo­ni, eppu­re a distan­za di qua­si un anno anco­ra sto aspet­tan­do il processo.

Secon­do me, biso­gne­reb­be velo­ciz­za­re la pro­ce­du­ra, per­ché ades­so richie­de trop­po tempo.

Voglio dire alle don­ne vit­ti­me di vio­len­za: denun­cia­te e scap­pa­te via da quel­la per­so­na che vi dice di amar­vi e si giu­sti­fi­ca dicen­do “È per que­sto che sono così gelo­so”.

Scap­pa­te da quel­la per­so­na che vi allon­ta­na da tut­ti, che spe­gne il vostro sor­ri­so per­ché gli dà fasti­dio veder­vi felici.

Da quel­la per­so­na che vi dice: “ma io lo fac­cio solo quan­do sono ubria­co, io ti amo e nes­su­no può amar­ti più di me, nem­me­no la tua famiglia”.
Don­ne, que­sto non è amore.
Que­sto è spegnervi.

Gri­dia­mo vera­men­te basta, non solo per appa­ri­re in pri­ma fila in una marcia.

Fac­cia­mo­ci rispettare.

Mi tor­na in men­te una vol­ta in cui io sono sta­ta al Pron­to Soc­cor­so per col­pa di quest’essere e ho chie­sto come mi dove­vo com­por­ta­re e cosa dove­vo fare. Mi è sta­to rispo­sto: “Ma che vuoi fare? È suc­ces­so per­ché era ubria­co!

Allo­ra mi chie­do se non è il caso di met­te­re una figu­ra all’interno del Pron­to Soc­cor­so che pos­sa acco­glie­re ed aiu­ta­re que­ste donne.

Mi dispia­ce solo di non aver denun­cia­to pri­ma, per­ché alme­no avrei evi­ta­to 14 anni di sof­fe­ren­za anche ai miei figli.

Pame­la Basile


Cara Pame­la,

la tua testi­mo­nian­za è come un pugno allo sto­ma­co. Il corag­gio che dimo­stri e la denun­cia di un ambien­te che spes­so fa fin­ta di non vede­re, anche pres­so le isti­tu­zio­ni, non lascia adi­to ad alibi.

Il tem­po che una don­na tra­scor­re tra la denun­cia e il pro­ces­so è un tem­po nega­to, un tem­po sot­trat­to alla don­na e ai suoi figli, in cui deve atten­de­re per poter­si rico­strui­re una vita, un’e­si­sten­za tran­quil­la, una spe­ran­za di futuro.

L’ho già det­to: tan­to c’è anco­ra da fare, soprat­tut­to rispet­to ai tem­pi per fare giu­sti­zia, anche se il Codi­ce Ros­so, anche recen­te­men­te rivi­sto, li ha accor­cia­ti. Anco­ra ser­ve un’a­zio­ne for­te di tute­la e rispet­to nel­la qua­le dob­bia­mo impe­gnar­ci tut­ti, nel nostro pic­co­lo a por­ta­re avanti.

La testi­mo­nian­za di chi assi­ste da die­tro le fine­stre e non inter­vie­ne è sem­pre pre­sen­te come una costan­te ter­ri­bi­le che dà il sen­to­re del per­ché le don­ne si sen­ta­no sole e iso­la­te, spes­so ber­sa­glia­te a poste­rio­ri anche da accu­se e insul­ti da chi pren­de, inspie­ga­bil­men­te, le par­ti del­l’a­guz­zi­no e col­pe­vo­liz­za le donne.

Lo abbia­mo visto soprat­tut­to nei casi in cui i vio­len­ti sono mino­ren­ni, da par­te del­le madri, che inve­ce di fare una rifles­sio­ne su come han­no edu­ca­to i pro­pri fogli, insul­ta­no a loro vol­ta le vittime. 

Ecco, tut­ti abbia­mo col­pe in que­sto gio­co al mas­sa­cro e tut­ti dob­bia­mo dar­ci da fare per impe­di­re che suc­ce­da anco­ra e per aiu­ta­re le don­ne che voglio­no denunciare.

Gra­zie Pame­la per que­sta toc­can­te testimonianza.

Fran­ce­sca Marrucci

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