25 aprile: alcuni oppositori furono mandati al confino nell’isola di Ustica
CINQUE STORIE PER RACCONTARE L’ANTIFASCISMO A PANTELLERIA
Sono 47 i panteschi che risultano negli schedari del Casellario Politico Centrale. Il CPC fu istituito dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza nel giugno 1896 come schedario per gli affiliati a partiti sovversivi considerati pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica ed era destinato ad accogliere i fascicoli personali di anarchici, socialisti, repubblicani e, a partire dal 1920, anche dei comunisti. In quelle schede venivano segnate le generalità, il colore politico, i rapporti e le informative che la polizia raccoglieva e registrava sugli oppositori al regime. Delle 47 persone una era una donna.
Si chiamava MARIA BONOMO ed era della contrada di Scauri-Rekhale. Classe 1890. Il padre si chiamava Giacomo ed era nubile, analfabeta, operaia e antifascista. Maria Bonomo, allora aveva 52 anni, fu arrestata il 27 giugno 1942 per aver pronunciato la seguente frase: «Se avessi il duce sotto le mie mani gli taglierei il collo, perché ci fa morire di fame, mentre se ci fossero stati gli inglesi saremmo stati ricchi». A prendere la decisione di quella pena fu la Commissione Provinciale che era un organismo presieduto dal prefetto e composto dal procuratore del RE, dal comandante del gruppo dei CC.RR., dal questore, dal console della MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), da un commissario di PS che fungeva da segretario. La Commissione Provinciale (CP) esaminava le proposte avanzate dall’UPI (ufficio politico investigativo) incorporato nella 174^ legione della MVSN. Il provvedimento della Commissione Provinciale fu preso con una ordinanza del 31 ottobre del 1942 e Maria Bonomo fu mandata al confino nell’isola di Ustica. Fu liberata il 29 dicembre del 1942 in occasione della ricorrenza del ventennale. Fece sei mesi e 3 giorni di carcere.
A Ustica nello stesso periodo fu confinato anche SALVATORE CATALANO nato a Paternò (CT) l’1 aprile 1892, ma da sempre residente a Pantelleria, coniugato con quattro figli, frequenza scuole elementari, falegname, antifascista. Fu arrestato il 26 giugno 1942, quando aveva 50 anni, per avere pronunciato frasi disfattiste e parole offensive verso il duce e fu assegnato al confino per anni cinque dalla CP di Trapani con ordinanza del 31 ottobre 1942. Sedi di confino e di internamento: Ustica e Renicci Anghiari. Fu liberato a fine luglio 1943. Periodo trascorso in carcere e al confino: anni uno e mesi uno circa.
Un altro antifascista mandato al confino fu SALVATORE RIZZO che era nato a Pantelleria, in contrada Kufurà, il 3 gennaio del 1887. Figlio di Vincenzo e di D’Amore Maria, si trasferì a Trapani dove si sposò ed ebbe quattro figli. Lui era un commerciante di vini ed era un antifascista. Fu arrestato il 20 novembre 1941, quando aveva 54 anni, per avere fatto discorsi antinazionali e disfattisti e per avere ascoltato radiocomunicazioni di stazioni di nazioni nemiche. Fu, per questo, assegnato al confino per cinque anni dalla Commissione Provinciale di Trapani con ordinanza del 16 marzo 1942 a San Severino Lucano. Liberato il 9 ottobre 1942 per commutazione in ammonizione. Periodo trascorso in carcere e al confino: mesi dieci, giorni 20. Salvatore Rizzo era già stato diffidato per avere propalato notizie false e tendenziose dirette a deprimere l’opinione pubblica, avendo asserito che la flotta nemica aveva tentato un bombardamento su Trapani. Nel novembre del 1941 pronunciò parole di esaltazione degli inglesi alla presenza del caporale Adamo Gancini che si era recato nella sua bottega per contrattare il prezzo di una partita di vino per la truppa. Allo scopo di raccogliere altri elementi a carico del negoziante e formulare una precisa denuncia, il caporale con altri due soldati si recò nell’abitazione del Rizzo e lo sorprese ad ascoltare comunicazioni radio straniere. In quell’occasione il Rizzo esclamò testualmente: «Le menzogne ce le abbiamo noi, gli inglesi fanno i fatti». Alcuni dei 47 panteschi schedati si rifugiarono in Tunisia e in Francia, qualche altro addirittura in Egitto.
In ogni fascicolo c’è una storia come quella di GIOVANNI FONTANA, classe 1902, anarchico che di mestiere aveva fatto il marinaio, l’autista e il cassiere. Fontana giovanissimo aveva aderito al movimento anarchico ed era sempre giù al porto ad accogliere i confinati mandati a Pantelleria dal Tribunale Speciale voluto dal regime. Nel 1926 era diventato amico dell’Ing. Giuseppe Romita (deputato socialista) e del Professor Fabrizio Maffi (deputato comunista) a cui aveva procurato il necessario: reti, materassi e sedie, per rendere più vivibile la vita di confinato. Le informative della polizia intanto parlano di Fontana come un “elemento pericoloso e turbolento”. Nel 1927, il 9 di aprile, scappò in Tunisia, partendo da Trapani a bordo della bilancella “Rosina Sferlazzo”. Si rifugiò a Biserta dove lavorerà come cassiere al caffè “Commercio”, il cui proprietario era il noto anarchico Salvatore Valenza di Pantelleria. “A Tunisi – si legge in un’informativa del Consolato Italiano – è sospettato di essere autore e complice, non soltanto dell’ultima bomba contro il giornale L’Unione dell’11 maggio u.s., ma anche delle precedenti contro il giornale stesso e contro la sede del Regio Consolato Generale di Tunisi”. Il 28 novembre del 1933 in un’altra informativa del consolato italiano a Tunisi, a proposito di Fontana, si legge che “egli non tralascia alcuna occasione per denigrare il Fascismo e le gerarchie”. In un appunto riservato della Divisione Politica si legge che “Fontana continua a fare propaganda antifascista. Si adopera anche per favorire gli espatri clandestinamente”. L’anno dopo nel 1934, si legge in un altro rapporto della polizia, “si trasferisce a 15 km da Biserta, nella proprietà terriera del Dott. Alfonso Errera. Lì risiede, oltre a Giovanni, un numeroso gruppo di italiani, di sentimenti antifascisti, all’interno del quale Fontana gode di un forte ascendente”. In seguito Fontana si recò in Spagna per combattere in difesa della giovane Repubblica Spagnola dove fece parte del 3° scaglione della Colonna Italiana fondata da Carlo Rosselli.
In Tunisia, a Biserta, c’erano anche i fratelli ERRERA, ALFONSO e GIOVANNI. La famiglia Errera da Pantelleria si era trasferita in Tunisia nel 1926. Il padre, don Giovanni Errera, fu medico e per tanti anni esercitò la professione a Tunisi, dove fu anche il medico personale del Bey. Dei due figli, Alfonso, classe 1892, si era laureato in medicina a Siena ed era stato anche tenente medico, ma già nel 1926, per le sue idee politiche, venne rimosso dal grado con tanto di regio decreto. I fratelli Errera avevano creato una rete tra gli antifascisti, dando ospitalità agli oppositori che vivevano in Tunisia; ad esuli che erano fuggiti dall’Italia ed avevano anche rapporti stretti con altri antifascisti che vivevano in Francia. Alfonso Errera aveva contatti stretti e continui con Giuseppe Saragat (futuro Presidente della Repubblica) e con il leader del partito socialista Pietro Nenni che si era rifugiato a Parigi. Sono sempre loro, i fratelli Errera, che tra il 28 e 29 luglio del 1929 aiutarono Rosselli, Nitti e Lussu, i quali dopo la fuga da Lipari a Biserta furono accolti e nascosti nella tenuta degli Errera in rue de Barcellone. Infatti in un rapporto del 30 ottobre del 1930 il Capo della Sezione Prima della Divisione degli Affari Generali e Riservati annotò “..L’Errera, che tiene all’entrata della sua clinica l’effige di Giacomo Matteotti, in occasione dell’evasione degli ex confinati Lussu, Nitti e Rosselli, ha facilitato la partenza di costoro per la Francia, prendendo accordi e contatti con il Fuoriuscito Italo Oxilia, ed è notorio che egli riceveva e distribuiva opuscoli sovversivi e antifascisti..”. Siamo negli anni ’40, gli anni della guerra. L’attività antifascista dei fratelli Errera si fa più intensa, tanto è vero che in una nota riservata della Regia Prefettura di Trapani annotarono: “Giovanni unitamente al fratello Alfonso, appena dichiarata la guerra tra l’Italia e la Francia, chiese ed ottenne di essere incorporato nelle ‘guardie territoriali’ istituite per la difesa contro la cosidetta V colonna per la caccia ai paracadutisti italiani e fu munito come altri ‘territoriali’, di bracciale di riconoscimento e di fucile e di giberne”. Loro, i fratelli Alfonso e Giovanni Errera arrivati in Tunisia da Pantelleria avevano deciso di imbracciare i fucili e combattere armati contro l’Italia fascista. Anche per questo Alfonso e Giovanni vennero iscritti nella rubrica di frontiera. L’ordine era arrivato direttamente dal ministro degli Interni di Roma: ”se passano la frontiera devono essere arrestati”.
Sandro Casano
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