Intervista con Gilda Buttà, in occasione del concerto di questa sera. La pianista della leggenda sull’oceano di Morricone ci racconta il suo rapporto con il Maestro e con la musica
di Laura Boggero
Jelly Morton, “l’uomo che ha inventato il jazz, a quanto dicono”, non può sopportare che un pianista senza titoli, nato e cresciuto su una nave da crociera e mai sbarcato, uguagli il suo talento. Sale sulla nave e lo sfida. Baricco descrive la scena del duello musicale con parole appese all’estetica lieve della sua grammatica. Tornatore la declina in dettagli vividi, come le corde fumanti del pianoforte. Morricone la racconta con un virtuosismo che supera la tecnica e approda all’incanto. Quella scena è un capolavoro conclamato della storia del cinema.
Non tutti sanno però che a vincere la sfida è una donna: Gilda Buttà.
Tim Roth impersona Novecento con energia sferzante e delicatezza, ma non suona una nota, ovviamente. Chi esegue, traduce, crea, riempie l’anima della musica di Morricone è Gilda.
Gilda Buttà, siciliana, è ai vertici pianistici internazionali, fin da giovanissima. Vince il premio Listz e tiene concerti in Europa, Stati Uniti ed Asia. Collabora per oltre 25 anni con Morricone, registrando numerosissime colonne sonore (“La leggenda del pianista sull’oceano”, “Love affair”, “Canone inverso”, “Gli intoccabili”, “Vittime di guerra”, Il Papa Buono”, ecc…) ed interpretando la musica assoluta del “Catalogo” a lei espressamente destinata.
In occasione del concerto che terrà stasera a Pantelleria, l’abbiamo intervistata.
Ci racconti del suo primo incontro con Ennio. È stata una folgorazione? C’è stato subito feeling? Come si diventa la pianista per cui Morricone scrive partiture dedicate?
Nessun colpo di fulmine, anzi la prima volta che mi vide da ragazzina, proposta per i turni in sala di registrazione, non era del tutto tranquillo. Ma Ennio era estremamente serio e rigoroso, mi mise alla prova. Con il tempo ho scoperto anche la sua coerenza e fedeltà verso i suoi collaboratori. Non ho cominciato a lavorare per e con Ennio pensando a tutto ciò che sarebbe successo nel tempo: è accaduto.
Cosa pensa che Ennio abbia colto in lei, quali sfumature, come musicista e come persona? Che cosa è riuscito a tirare fuori di lei? Si dice che lei si dichiari molto fortunata ad aver avuto l’occasione di lavorare con Ennio, ma probabilmente la cosa era reciproca…
La componente classica era la lingua comune, attraverso uno strumento (per me) e la composizione (per lui). Probabilmente poi il mio timbro sonoro corrispondeva alle sue aspettative: il pianoforte è uno, ma ogni musicista ne fa qualcosa di unico, sempre diverso, irripetibile nel tempo e nello spazio. Ero caparbia, puntigliosa, cercavo sempre di migliorarmi. Anche ora, soprattutto quando interpreto la musica assoluta dedicatami da Ennio, la ristudio ogni volta, cercando ciò che non ho ancora trovato.
Una vita consacrata alla musica sembrerebbe implicare una rinuncia ad altre cose, se non altro in termini di tempo. C’è qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto?
Ho suonato per il mondo, ma non ho mai viaggiato per vacanza e ci sono luoghi che mi piacerebbe visitare, come le Highlands scozzesi e la Turchia. È scontato dire che avrei voluto più tempo per la mia famiglia. Sono un’amante della Storia e se non fossi stata una pianista mi sarebbe piaciuto fare l’archeologa. In fondo, i due mestieri sono molto simili. Io continuo a scavare su una partitura che per altri è solo un foglio bianco con righe e pallini neri; per me è un mondo da approfondire, sviscerare, portando ogni volta alla luce nuovi dettagli e gioielli.
Che musica ascolta una come Gilda Buttà quando si rilassa, cucina, fa la doccia?
Tutto, senza preclusioni, jazz, pop, qualsiasi genere. Sin da quando ero bambina, finivo di studiare Mozart e poi mi buttavo su Genesis, Pink Floyd, Blues Brothers; mi divertivo persino come speaker in una radio locale, per continuare all’infinito il mio appuntamento con la musica. Guardo anche Sanremo: valuto gli elementi tecnici, ma soprattutto mi piace seguire, nelle esecuzioni, indizi che mi riportano ad amici, tra i membri dell’orchestra e gli autori. Angelina Mango, ad esempio, la conoscevo sin da piccina.
Probabilmente è capace di suonare molte partiture, se non tutte, ad occhi chiusi. Ma ce n’è qualcuna che le ha richiesto una particolare concentrazione tecnica? Ad esempio, il celeberrimo pezzo della sfida di Novecento è davvero così importante ed impegnativo nell’esecuzione?
All’interno del film, che sostanzialmente è una favola, quella scena è costruita con un gioco esplicito, a carte scoperte: sono andata in overdubbing, sovrapponendomi. La prima volta che l’ho fatto dal vivo all’Arena di Verona, Ennio mi ha detto: “veditela tu!”
È un pezzo difficile, ma affrontabile. Nel contesto della musica classica ci sono cose che mi hanno richiesto più fatica fisica e meccanica, come le pagine listziane.
Ho registrato tutto prima delle riprese cinematografiche, con Tornatore e Morricone che mi anticipavano il film, raccontandomi le scene con bravura sconcertante. La fantasia galoppava attraverso i suoni e le immagini, raggiungendo poesia e concretezza. Ho sentito la responsabilità e l’onore di quel pezzo scritto per me. C’è stata un po’ di follia in tutto ciò; se ci avessi pensato, mentre registravo, sarebbe stato ancor più arduo. Per acquistare credibilità nelle movenze al pianoforte, Tim Roth ha studiato duramente e si è avvalso di un coach, che ha prestato poi le sue mani nelle inquadrature strette sulla tastiera; credo mi abbia odiata per lo sforzo a cui l’ho costretto!
Ha mai subito discriminazioni come donna nell’ambiente della musica? Ci si augura che l’arte sia risparmiata da queste meschinità, ma forse non è così. La grande musica è un habitat sessista?
A volte sì. Alla fine di un’importante esibizione, da ragazza, mi sentii dire: “Bene, ti sei tolta la soddisfazione del concerto, ora puoi anche sposarti e far figli”. Sono andata avanti per la mia strada, spronata a fare sempre meglio. Ho ignorato poi qualche avance stupida e banale, ma non ho mai avuto pressioni sgradevoli. Ho sempre studiato il necessario, con assiduità, pensando che se quello che facevo pianisticamente funzionava, dovevo farlo funzionare ancor meglio, per ricordare che non ero solo una donna, ma una pianista. Martha Argerich è uno dei più grandi talenti esistenti, “the Queen”, universalmente riconosciuta, nessuno disquisisce sul fatto che sia donna. Il grande lavoro è procedere a testa bassa, perfezionando le proprie capacità.
Gilda dimostra il valore supremo del talento. E fortunatamente non siamo costretti a scegliere tra l’ineccepibilità tecnica di Jelly Morton e lo spirito palpitante di Novecento, perché lei li ha entrambi.
Laura Boggero, atleta di bodybuilding, docente e fitness trainer, content creator, scrittrice.