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Valerio Adorni: tra mare e memoria, un apneista a Pantelleria

Lunga intervista a Valerio Adorni: un viaggio nell’amore per la Natura e la Sostenibilità, dalla passione di un padre all’eredità di un figlio

di Giu­sy Andaloro

Tra i per­so­nag­gi che ormai carat­te­riz­za­no l’I­so­la di Pan­tel­le­ria ce n’è uno che appro­da soprat­tut­to d’e­sta­te sui neri lidi e che, come il resto del­la sua fami­glia che è sul­l’i­so­la ormai da più di 50 anni, è rima­sto fol­go­ra­to da que­sto sco­glio, ma soprat­tut­to dal suo mare.

Suo padre ha acquistato una casa a Pantelleria negli anni Settanta, un periodo in cui l’isola stessa era probabilmente molto diversa da come la vediamo oggi. Cosa significava per lui, grande amante del mare e apneista, vivere in questo luogo? 

Sarò sem­pre gra­to a mio padre, Sil­vio Ador­ni, per le scel­te di vita che intra­pre­se e che con­di­zio­na­ro­no pro­fon­da­men­te la mia infan­zia, la mia cre­sci­ta e la mia pas­sio­ne per il mare, dove Pan­tel­le­ria ha gio­ca­to un ruo­lo fon­da­men­ta­le. Mio padre fu un pio­nie­re dell’apnea e del­la pesca subac­quea in un’e­po­ca in cui la scien­za sta­va ini­zian­do a esplo­ra­re gli effet­ti del­la pres­sio­ne idro­sta­ti­ca sull’uomo in immer­sio­ne, con i pri­mi ten­ta­ti­vi di spin­ger­si sem­pre più in pro­fon­di­tà. Era­no i tem­pi di Maior­ca e di Majol.

Sin da gio­va­nis­si­mo era affa­sci­na­to dal mare, fin dai gior­ni lon­ta­ni del­la bat­ta­glia di El Ala­mein, in Afri­ca set­ten­trio­na­le, dove, poco più che ragaz­zo, con­di­vi­se le trin­cee con il suo com­pa­gno e ami­co Ruti­lio Ser­mon­ti. Cer­can­do di alle­via­re la tra­gi­ci­tà di una guer­ra assur­da, tra le sab­bie del deser­to, par­la­va­no di mare, di pro­gram­mi di immer­sio­ni subac­quee nel miste­rio­so mon­do som­mer­so. For­tu­na­ta­men­te, quel­l’an­ti­ca ami­ci­zia soprav­vis­se al con­flit­to mon­dia­le, e i loro sogni e pro­get­ti pre­se­ro forma.

Mio padre e il suo fida­to ami­co di trin­cea con­di­vi­se­ro le pri­me espe­rien­ze subac­quee: immer­sio­ni in apnea e pesca subac­quea con attrez­za­tu­re rudi­men­ta­li. Pro­prio come in bat­ta­glia, anche nel­le loro avven­tu­re som­mer­se si fida­va­no cie­ca­men­te l’uno dell’altro, con­sa­pe­vo­li di met­te­re la pro­pria vita nel­le mani del com­pa­gno, con una fidu­cia tota­le che garan­ti­va sicu­rez­za nel pro­fon­do blu.

Mio padre fu segna­to dal­la guer­ra, del­la qua­le ha sem­pre evi­ta­to di par­lar­ci, pre­fe­ren­do il silen­zio per ritro­va­re la sua pace inte­rio­re. Ven­ne feri­to in bat­ta­glia da una scheg­gia di gra­na­ta, gran­de come metà pol­li­ce, che por­tò nel pol­mo­ne destro per tut­ta la vita. Nono­stan­te ciò, pos­se­de­va doti apnei­sti­che fuo­ri dal comu­ne, tan­to da esse­re pub­bli­ca­to nei pri­mis­si­mi nume­ri del­la rivi­sta perio­di­ca Mon­do Som­mer­so, mol­ti decen­ni fa. Era e rima­ne il mio ido­lo, e mai potrei egua­glia­re le sue capa­ci­tà subacquee.

Nel­la vita mio padre era un pro­fes­so­re e atten­de­va le ferie per goder­si il mare con una rou­lot­te e un gom­mo­ne, navi­gan­do lun­go tut­te le coste d’Italia, ma nel lon­ta­no 1964 sbar­cò per la pri­ma vol­ta a Pan­tel­le­ria, iso­la allo­ra vera­men­te sel­vag­gia. Il viag­gio per rag­giun­ger­la era un’av­ven­tu­ra: nove ore su pic­co­li navi­gli con­tro onde impe­tuo­se, e quan­do sbar­ca­vi, bacia­vi la terra!

Il turi­smo era qua­si ine­si­sten­te, in un’i­so­la mera­vi­glio­sa, tut­ta da sco­pri­re sopra e sot­to il livel­lo del mare. Una ter­ra di fron­tie­ra, lon­ta­na, dove le como­di­tà scar­seg­gia­va­no e ci si dove­va adat­ta­re a una Natu­ra dif­fi­ci­le, che deci­de­va per chi la abi­ta­va e per i visi­ta­to­ri, come mio padre.

 

A Pan­tel­le­ria, mio padre deci­se di inter­rom­pe­re il suo vaga­bon­da­re per il mare: l’i­so­la gli rubò il cuo­re e vol­le met­ter­vi radi­ci. Nel ’68 acqui­stò casa diret­ta­men­te dal costrut­to­re, l’ingegnere Bofon­di, anco­ra ricor­da­to sull’isola, in uno dei pri­mi com­ples­si resi­den­zia­li turi­sti­ci edi­fi­ca­ti a Pun­ta Fram, sul­la costa occi­den­ta­le di Pan­tel­le­ria, la par­te più vici­na alla Tuni­sia. Pan­tel­le­ria e il mare defi­ni­ro­no la vita di mio padre, che si fece cono­sce­re e ama­re dagli abi­tan­ti, i pan­te­schi, gen­te vera­ce, genui­na e ospitale.

Anco­ra oggi, a 25 anni dal­la sua mor­te, mi capi­ta di incon­tra­re pan­te­schi, e pur­trop­po non sem­pre rie­sco a ricor­dar­li tut­ti, ma loro, con un sor­ri­so, mi rac­con­ta­no di mio padre: “Il pro­fes­sor Ador­ni, il subac­queo apnei­sta che, nei pri­mi anni ’70, face­va pesca subac­quea con Pino Man­no­ne, pan­te­sco, det­to San­so­ne!.

Era l’e­po­ca miglio­re, in un mare affa­sci­nan­te e miste­rio­so, e quei due uomi­ni gigan­ti, alti 1,90 m, esper­ti di mare, uno pan­te­sco e uno mila­ne­se, con­di­vi­de­va­no emo­zio­ni, avven­tu­re, sug­ge­stio­ni infi­ni­te e pre­de sui fon­da­li pro­fon­di dell’isola.

Per mio padre, Pan­tel­le­ria rap­pre­sen­ta­va il suo benes­se­re, il suo vive­re miglio­re. Qui tra­scor­se anche alcu­ni inver­ni, duran­te i qua­li sco­prì la vera essen­za dell’isola e l’autenticità del­la gene­ro­sa ami­ci­zia dei pan­te­schi. Gran­di per­so­ne, i cui figli sono oggi miei cari amici.

 

E cosa significa per lei, oggi, mantenere viva questa eredità e ritornare qui ogni anno?

In que­sto con­te­sto mera­vi­glio­so, nel 1973 venim­mo al mon­do io e mio fra­tel­lo Ales­san­dro, con­ce­pi­ti pro­prio a Pan­tel­le­ria duran­te il viag­gio di noz­ze e nati a Roma. Già all’e­tà di due mesi sbar­cam­mo per la pri­ma vol­ta sul­l’i­so­la, nono­stan­te il pare­re con­tra­rio del pedia­tra “capi­to­li­no” del­l’e­po­ca, che die­de del mat­to a mio padre, ma invano.

Sono cre­sciu­to con Pan­tel­le­ria nel san­gue, da sem­pre. E con un padre che sti­mo più di chiun­que altro, del qua­le sono fie­ro e orgo­glio­so. Ci inse­gnò a nuo­ta­re pri­ma anco­ra di cam­mi­na­re, mi inse­gnò l’immersione in apnea pri­ma anco­ra del­le tabel­li­ne. Ma, soprat­tut­to, ci inse­gnò che non c’è amo­re più gran­de di un padre che con­di­vi­de con i pro­pri figli le gio­ie del­lo sport, del­la vita all’aria aper­ta, del­la pas­sio­ne per il mare, e di una vita sana, anche e soprat­tut­to a Pantelleria.

Mi pia­ce pro­se­gui­re il per­cor­so di mio padre qui sull’isola, dove ogni anno ho le lacri­me agli occhi il pri­mo gior­no al mio arri­vo e l’ultimo alla par­ten­za, quan­do chiu­do casa e salu­to l’isola dal­la pop­pa del­la nave. Ado­ro rivi­ve­re Pan­tel­le­ria attra­ver­so gli occhi di mio padre, pro­va­re le stes­se sen­sa­zio­ni che con­di­vi­si con lui da ragaz­zo e da gio­va­ne uomo. Anche oggi, a 51 anni, sen­to di esse­re a Pan­tel­le­ria più vici­no a lui, che rin­gra­zie­rò sem­pre per la pas­sio­ne per il mare che ha gene­ro­sa­men­te tra­man­da­to e per le sue gesta, rese abi­li da una sapien­za antica.

Ho desi­de­ra­to tro­va­re un gom­mo­ne come quel­lo che usa­va lui, del­lo stes­so colo­re, del­la stes­sa lun­ghez­za. Oggi è con­si­de­ra­to un bat­tel­lo vin­ta­ge, ma per me è per­fet­to, idea­le per le mie esi­gen­ze. Con esso, da solo o con la mia com­pa­gna, vivia­mo l’isola con emo­zio­ni for­ti, pro­prio gra­zie a mio padre, Sil­vio Adorni.

Crescendo in un ambiente così unico, come ha influenzato il suo rapporto con la natura e con il mare? Come si è trasformata nel corso degli anni la sua connessione personale con l’isola?

Non ho mai avver­ti­to il biso­gno di adat­tar­mi alla dif­fi­ci­le natu­ra di Pan­tel­le­ria: per me era la nor­ma­li­tà, era l’isola. Non ave­vo ter­mi­ni di para­go­ne. Fin dal­la pri­ma esta­te del­la mia vita, sia­mo sta­ti una “fami­glia iso­la­na”, io, mio padre e noi figli, “i gemel­li­ni del Pro­fes­sor Ador­ni di Pun­ta Fram”.

Per me Pan­tel­le­ria è sem­pre sta­ta il cano­ne del vero mare, con la sua costa roc­cio­sa, sco­sce­sa, a trat­ti imper­via. Un mare che spes­so devi gua­da­gnar­ti, sudan­do su ripi­di sen­tie­ri, e le sbuc­cia­tu­re alle ginoc­chia da bam­bi­no era­no una costan­te. Può sem­bra­re incre­di­bi­le, ma ero tal­men­te pla­sma­to dal­la natu­ra di Pan­tel­le­ria che, anco­ra oggi, non rie­sco ad apprez­za­re fino in fon­do una costa sab­bio­sa. Le spiag­ge e i lidi sab­bio­si pos­so­no pia­cer­mi, cer­to, ma ai miei occhi non rap­pre­sen­te­ran­no mai il vero mare. Pan­tel­le­ria ha for­gia­to in me il suo carat­te­re, dol­ce­men­te e col tempo.

Duran­te la mia cre­sci­ta ho sem­pre segui­to i pas­si di mio padre. I suoi inse­gna­men­ti, di vita e di mare, sono sta­ti per me il miglior van­tag­gio nel­la sco­per­ta di Pan­tel­le­ria. Ave­vo un otti­mo mae­stro, e inna­mo­rar­mi dell’isola è sta­to faci­le e natu­ra­le. Pan­tel­le­ria ci ha accol­ti, e noi, rico­no­scen­ti e rispet­to­si, l’abbiamo ama­ta come figli suoi.

Intor­no ai trent’anni ho sen­ti­to il desi­de­rio di esplo­ra­re altri mari, altri luo­ghi, un’esigenza nor­ma­lis­si­ma per chiun­que. Per nove anni ho navi­ga­to ver­so le iso­le Pon­ti­ne, non lon­ta­ne dal­la costa lazia­le, e ho visi­ta­to altre iso­le: quel­le cam­pa­ne, come Ischia, Capri, Pro­ci­da, la Costie­ra Amal­fi­ta­na fino a Pali­nu­ro, e ver­so nord l’arcipelago tosca­no. Pic­co­li gio­iel­li del nostro bel Medi­ter­ra­neo. Ero più gio­va­ne e ave­vo fame di cono­scen­za, ma sape­vo che Pan­tel­le­ria era là, mol­to più a sud, ad aspet­tar­mi. E non l’avrei mai tra­di­ta, per­ché ai miei occhi resta­va la miglio­re, era “la mia Mamma”.

Nel cor­so degli anni fino ad oggi, non rile­vo in me par­ti­co­la­ri tra­sfor­ma­zio­ni nel mio approc­cio con l’isola e il suo mare. Cer­to, la mag­gio­re con­sa­pe­vo­lez­za e matu­ri­tà influi­sco­no sul­le mie scel­te, sia sopra che sot­to il livel­lo del mare, ma con l’avanzare dell’età cre­sce in me un sen­ti­men­to sem­pre più for­te per Pan­tel­le­ria. L’isola è sta­ta testi­mo­ne del­la mia cre­sci­ta, e anch’io ho visto in lei, nel tem­po, cam­bia­men­ti. Alcu­ni, pur­trop­po, poco pia­ce­vo­li. Ma è il desti­no ine­so­ra­bi­le di ogni loca­li­tà turi­sti­ca, da nord a sud, mare o mon­ta­gna: l’eccessivo sfrut­ta­men­to per fini com­mer­cia­li, spes­so a sca­pi­to del­la natura.

Ha dei ricordi particolarmente vivi o emozionanti legati a suo padre e alle immersioni che facevate insieme? Quali insegnamenti o momenti di condivisione in mare l’hanno segnata di più?

Sono mol­te­pli­ci e vivis­si­mi i ricor­di di mio padre lega­ti a Pan­tel­le­ria, ricor­di che pro­teg­go e custo­di­sco gelo­sa­men­te. I suoi rac­con­ti di mare, le avven­tu­re e le disav­ven­tu­re vis­su­te nel mare pan­te­sco, sem­pre impre­ve­di­bi­le e che non ammet­te trop­pa con­fi­den­za. Un mare, quel­lo al cen­tro del Medi­ter­ra­neo, impe­tuo­so e sot­to­mes­so ai for­ti ven­ti del Cana­le di Sici­lia, con tem­pe­ste improv­vi­se che, da seco­li, sono pro­ta­go­ni­ste di innu­me­re­vo­li disav­ven­tu­re di naviganti.

Tra i suoi rac­con­ti, voglio men­zio­na­re un epi­so­dio acca­du­to anni pri­ma del­la mia nasci­ta e di quel­la di mio fra­tel­lo, di cui con­ser­vo vec­chie foto­gra­fie. Mio padre si tro­va­va sul lato oppo­sto del­l’i­so­la con il suo gom­mo­ne, anco­ra­to sot­to­co­sta, e si immer­se per pesca­re allo Sco­glio del For­mag­gio, uno dei miglio­ri spot dell’isola, con fon­da­li pro­fon­di e straor­di­na­ri. Quel gior­no, però, inter­rup­pe la sua pesca quan­do avvi­stò una tar­ta­ru­ga mari­na, una caret­ta caret­ta, inca­stra­ta in una rete som­mer­sa, anco­ra in vita. Le tar­ta­ru­ghe mari­ne sono abi­li apnei­ste, ma, come noi, respi­ra­no in super­fi­cie. Mio padre non esi­tò a libe­rar­la, com­pien­do nume­ro­se immer­sio­ni in apnea fino a cir­ca 15 metri di pro­fon­di­tà, dove l’animale lot­ta­va per soprav­vi­ve­re. Gra­zie al suo col­tel­lo subac­queo e alla sua impre­sa, riu­scì a sal­va­re la tar­ta­ru­ga, che, appe­na libe­ra, nuo­tò velo­ce­men­te ver­so la super­fi­cie per respi­ra­re, segui­ta da mio padre. Anche que­sto fa par­te del­le gesta di un pesca­to­re subac­queo coscienzioso.

Un altro epi­so­dio, che ho vis­su­to per­so­nal­men­te con lui e che non potrò mai dimen­ti­ca­re, accad­de pro­prio nel mare davan­ti a casa, a Pun­ta Fram, quan­do avvi­stam­mo per la pri­ma vol­ta uno squa­lo men­tre era­va­mo in acqua. Ave­vo for­se 14 anni, o poco meno, e sta­vo accom­pa­gnan­do mio padre a pesca. Era­va­mo esat­ta­men­te a Cala dell’Alca, un trat­to di costa imper­vio, con alte pare­ti roc­cio­se a stra­piom­bo sul mare, inac­ces­si­bi­li e deci­sa­men­te inquie­tan­ti. Un trat­to di mare spes­so carat­te­riz­za­to da for­ti cor­ren­ti, dato che Pun­ta Fram è mol­to espo­sta. Il mare era cal­mo, la gior­na­ta lumi­no­sa, tut­to sem­bra­va tran­quil­lo, quan­do vedem­mo una ver­de­sca di alme­no un metro e mez­zo “pasco­la­re” non lon­ta­no da noi, su un fon­da­le di 20 metri.

Io fui ter­ro­riz­za­to e strin­ge­vo for­te la mano di mio padre. For­tu­na­ta­men­te, non ave­va­mo pre­de lega­te alla cin­tu­ra, ma non potrò mai dimen­ti­ca­re la sua voce fer­ma, ras­si­cu­ran­te, ma impe­ra­ti­va: “Vale­rio, non è inte­res­sa­to a noi. Stai tran­quil­lo, ma oggi nien­te pesca. Tor­nia­mo in calet­ta!”. Sono pas­sa­ti oltre 35 anni, ma tutt’ora, quan­do pesco e costeg­gio Fram, e Cala dell’Alca si apre davan­ti a me, un bri­vi­do di sug­ge­stio­ne mi attra­ver­sa, e non mi abban­do­na più.

Ogni inse­gna­men­to di mio padre era pre­zio­so, anche solo osser­var­lo nel­le sue immer­sio­ni nel blu. La sua con­cen­tra­zio­ne e la soli­di­tà men­ta­le in ogni disce­sa subac­quea era­no per me il miglior stu­dio pos­si­bi­le. Ho 51 anni, e mio padre mi man­ca anco­ra come se fos­si un bambino.

La pesca in apnea non è solo uno sport, ma una vera e propria disciplina che richiede concentrazione, resistenza e rispetto per il mare. Quali sono i principi fondamentali che ha appreso da suo padre riguardo questa pratica, e come cerca di applicarli oggi?

Ho ormai alme­no 43 anni di apnea alle spal­le, di cui gli ulti­mi 36 dedi­ca­ti alla pesca subac­quea. Pos­so affer­ma­re con cer­tez­za che non si ter­mi­na mai di impa­ra­re dal mare. Non può esi­ste­re un ter­mi­ne di inse­gna­men­to che si pos­sa rice­ve­re da ogni espe­rien­za in mare, sia nel­l’a­pnea che nel­la pesca subacquea.

A 20 o 30 anni si può esse­re fisi­ca­men­te per­for­man­ti e atle­ti­ci, ma anche impru­den­ti; solo un buon inse­gna­men­to, l’esperienza in mare e la testa sul­le spal­le pos­so­no fare la dif­fe­ren­za per ripor­ta­re sem­pre a casa la pel­le. Sol­tan­to ieri, lune­dì, e dome­ni­ca, a distan­za di sole 24 ore, sono dece­du­ti nel mare del­la Sar­de­gna due pesca­to­ri subac­quei, uno dei qua­li ave­va solo 27 anni. 

Gra­zie ai social, a Inter­net e ai miei video pub­bli­ca­ti su You­Tu­be, ho avu­to la pos­si­bi­li­tà di cono­sce­re una vastis­si­ma pla­tea di appas­sio­na­ti di pesca subac­quea, mol­ti dei qua­li ho poi incon­tra­to per­so­nal­men­te, dan­do vita a sane ami­ci­zie nel tem­po. Tut­ta­via, sono mol­te­pli­ci i pro­fi­li Face­book di miei con­tat­ti pur­trop­po dece­du­ti in mare.

L’insegnamento rice­vu­to da mio padre e la pra­ti­ca svol­ta con lui sono sta­te fon­da­men­ta­li, per­ché ho impa­ra­to pri­ma di tut­to una rego­la che riten­go essen­zia­le: sia­mo uomi­ni, sia­mo ter­ri­co­li, e dob­bia­mo sem­pre approc­ciar­ci al mare e al mon­do som­mer­so con timo­ro­so rispetto!

Quel­lo che ho appre­so da mio padre, che ha pra­ti­ca­to la pesca subac­quea per tut­ta la vita, anche oltre i 65 anni, era basi­la­re, impe­ra­ti­vo ed essen­zia­le. La tec­ni­ca di respi­ra­zio­ne, il rilas­sa­men­to e mai l’i­per­ven­ti­la­zio­ne, che ai suoi tem­pi era mol­to uti­liz­za­ta, rap­pre­sen­ta­no un gra­vis­si­mo rischio e cau­sa di sin­co­pe. Da lui ho impa­ra­to ad asse­con­da­re me stes­so in mare, non basan­do­mi su limi­ti erro­nea­men­te con­si­de­ra­ti. Trop­po spes­so ci si con­fron­ta con il mare con ecces­si­va sicu­rez­za, cer­ti di cono­sce­re i pro­pri limi­ti e arri­van­do a sfio­rar­li, tiran­do le apnee. E per cosa? Per un pesce! Non esi­ste cat­tu­ra che pos­sa vale­re la nostra vita.

Noi sia­mo orga­ni­smi, non moto­ri mec­ca­ni­ci i cui limi­ti sono scrit­ti su manua­li. I nostri limi­ti sono labi­li, dif­fe­ren­ti da un gior­no all’al­tro in mare, in base a innu­me­re­vo­li fat­to­ri, ambien­ta­li e per­so­na­li. Il nostro sta­to di salu­te, poche ore di son­no la not­te pre­ce­den­te l’im­mer­sio­ne, un raf­fred­do­re o sem­pli­ce­men­te il fred­do che per­ce­pia­mo in mare, così come la cor­ren­te for­te o il moto ondo­so, che può anche indur­ci alla nau­sea, sono tut­ti fat­to­ri che influen­za­no quel­li che con­si­de­ria­mo i nostri limi­ti. Non mi stan­che­rò mai di insi­ste­re sul fat­to che un apnei­sta non deve mai fare affi­da­men­to sui pro­pri limi­ti; è sba­glia­to! Tira­re l’apnea, rischian­do il blac­kout e la sin­co­pe, è fata­le in mare, spe­cial­men­te se si è soli in immersione.

Il mare con­ce­de ben poco una secon­da pos­si­bi­li­tà e non ci è ami­co: non ha un’anima. Ed è per que­sto che con­ti­nue­rò ad approc­ciar­mi ad esso con timo­ro­so rispet­to. Sia chia­ro, non inten­do ele­var­mi in cat­te­dra. Anch’io ho com­mes­so erro­ri di inco­scien­za sott’acqua, dai qua­li ho sicu­ra­men­te impa­ra­to. La pesca subac­quea com­por­ta un fat­to­re di rischio, è indi­scu­ti­bi­le, e spet­ta al pesca­to­re coscien­zio­so in apnea ridur­re al mini­mo la per­cen­tua­le di tale rischio, met­ten­do in con­to anche la fata­li­tà dell’imprevisto. Mi immer­go in apnea tut­to l’anno, in esta­te negli alti fon­da­li di Pan­tel­le­ria e nei mesi fred­di al Cir­ceo, sul­la costa lazia­le. Non esi­ste­rà mai un’immersione ugua­le a un’altra. Il nostro com­pi­to è man­te­ner­si lon­ta­ni da ogni rischio, dimi­nuen­do di con­se­guen­za anche gli impre­vi­sti. 

Oggi si parla molto di pesca sostenibile e di protezione degli ecosistemi marini. Negli anni, come ha adattato il suo approccio alla pesca in apnea per garantire che fosse rispettosa della fauna e dell’ambiente marino? C’è stato un momento in cui ha sentito la necessità di cambiare modo di fare?

È impor­tan­te sape­re, innan­zi­tut­to, che la pesca subac­quea influi­sce sul pre­lie­vo itti­co del Medi­ter­ra­neo per una per­cen­tua­le del­lo 0,0001%. Tut­ta­via, ciò non deve dere­spon­sa­bi­liz­za­re asso­lu­ta­men­te il pesca­to­re subac­queo. Pur­trop­po, l’im­po­ve­ri­men­to itti­co del Mare Nostrum è un dato di fat­to: non si trat­ta di una riser­va ine­sau­ri­bi­le da sfrut­ta­re incondizionatamente.

I fat­to­ri deter­mi­nan­ti di tale effet­to sono diver­si, e tut­ti impu­ta­bi­li all’uo­mo. L’in­qui­na­men­to dei mari e la pesca com­mer­cia­le sono i più rile­van­ti. Esi­sto­no leg­gi a tute­la e pro­te­zio­ne del mare, anche per il pesca­to­re subac­queo; leg­gi che, a vol­te, non ven­go­no rispet­ta­te dal­la pesca com­mer­cia­le. Flot­te di pesche­rec­ci nazio­na­li ed este­ri inten­si­fi­ca­no il pre­lie­vo a dismi­su­ra, in base alla doman­da di mer­ca­to, spes­so uti­liz­zan­do meto­do­lo­gie di pesca ille­ga­li e cau­san­do stra­gi di ceta­cei e squa­li, ani­ma­li impor­tan­tis­si­mi per l’e­co­si­ste­ma mari­no. Inol­tre, mol­te spe­cie itti­che con­si­de­ra­te “fuo­ri mer­ca­to” ven­go­no ribut­ta­te in mare ormai sen­za vita. Per non par­la­re del mas­sa­cro di chi­lo­me­tri di fon­da­li con la pesca a stra­sci­co e del­la deser­ti­fi­ca­zio­ne dei suo­li mari­ni. Non voglio asso­lu­ta­men­te dive­ni­re com­pli­ce di tale sfrut­ta­men­to ecces­si­vo. Non entre­rò mai in pesche­ria ad acqui­sta­re pesce; pre­fe­ri­sco immer­ger­mi, sele­zio­na­re le pre­de e pre­le­va­re quan­to mi è suf­fi­cien­te per la mia tavo­la, sen­za alcu­no spreco.

Il pesca­to­re subac­queo ha la facol­tà, il dove­re e la coscien­za di sele­zio­na­re le pre­de, ammi­ran­do e lascian­do vive­re gio­va­ni esem­pla­ri. Mi pia­ce con­si­de­ra­re la mia pesca in apnea come un’e­splo­ra­zio­ne subac­quea, cer­can­do la per­fet­ta armo­nia tra me e il liqui­do ele­men­to duran­te ogni disce­sa. Se vi è pesce inte­res­san­te, bene; cer­che­rò con la tec­ni­ca di cat­tu­ra­re qual­che esem­pla­re, sen­za mai ster­mi­na­re il bran­co in una tana, ad esem­pio, altri­men­ti quel­la tana non si ripo­po­le­rà per mesi.

Al con­tra­rio, se non incon­tro pesce, non impor­ta, va bene ugual­men­te: ho alle­na­to il fia­to, le gam­be e rige­ne­ra­to la men­te. Non sarò mai in cer­ca spa­smo­di­ca di pesce o di cat­tu­re record; non uti­liz­ze­rò mai quel­le appa­rec­chia­tu­re di bor­do che leg­go­no fon­da­li e pesci come un video­gio­co. Nul­la di tut­to ciò sul mio gom­mo­ne. Svol­go la mia pesca come ho impa­ra­to da mio padre: in gom­mo­ne die­tro l’i­so­la, in un buon spot costie­ro. Gra­zie all’e­spe­rien­za, ai rac­con­ti e alla cono­scen­za del­l’i­so­la, anco­re­rò il bat­tel­lo e via a pin­neg­gia­re ed esplo­ra­re, lascian­do anche “al fato” la pos­si­bi­li­tà di far pesce.

Inol­tre, inten­dia­mo­ci: la qua­si tota­li­tà dei pesca­to­ri subac­quei non “muo­re di fame”, dato che indos­sa attrez­za­tu­re subac­quee per sva­ria­te cen­ti­na­ia di euro, e non è la cat­tu­ra o l’im­bian­ca­ta subac­quea a cam­bia­re le sor­ti eco­no­mi­che del protagonista.

Praticare pesca in apnea in modo responsabile comporta una profonda conoscenza dell’ecosistema marino. Quali accorgimenti adotta concretamente per rispettare l’ambiente, e cosa consiglierebbe ad altri pescatori subacquei per essere etici e sostenibili nel loro approccio?

La pesca subac­quea, se eser­ci­ta­ta in con­for­mi­tà con le rego­le per la cura e la pro­te­zio­ne del mare, è già di per sé una pesca soste­ni­bi­le e rispet­to­sa. È fon­da­men­ta­le ave­re una buo­na cono­scen­za del­le spe­cie itti­che e degli inver­te­bra­ti, pri­ma anco­ra di impu­gna­re un fuci­le subac­queo. Cono­sce­re ogni pesce con­sen­te di valu­ta­re la cat­tu­ra in base alla misu­ra (gran­dez­za) del­la pre­da, allo sta­to di cre­sci­ta e ad altri fat­to­ri deter­mi­nan­ti nel­la deci­sio­ne di cat­tu­ra o meno.

Il pesca­to­re subac­queo può quin­di deci­de­re di pra­ti­ca­re una pesca con­sa­pe­vo­le, rispet­to­sa e soste­ni­bi­le, gra­zie a una soli­da com­pren­sio­ne del­l’e­co­si­ste­ma mari­no e, soprat­tut­to, rispet­tan­do le leg­gi di pre­lie­vo impo­ste. Altri­men­ti, diver­reb­be un brac­co­nie­re, la ver­go­gna del­la cate­go­ria! Ama­re il mare signi­fi­ca cer­ca­re di pre­ser­var­lo e, anche noi pesca­to­ri subac­quei, nel nostro pic­co­lo, pos­sia­mo e dob­bia­mo muo­ver­ci sem­pre a favo­re del­la sua tutela.

Durante le immersioni, quali sono le emozioni che prova nel trovarsi sott’acqua, lontano dal fragore del mondo “superficiale”? Ci sono momenti in cui, immerso nel silenzio, si sente in completa armonia con il mare e i suoi abitanti?

La mia età e la mia espe­rien­za in mare mi indu­co­no ine­so­ra­bil­men­te ad ave­re un mino­re istin­to vena­to­rio e un mag­gio­re sen­ti­men­to con­tem­pla­ti­vo duran­te le mie immer­sio­ni in apnea, soprat­tut­to a Pan­tel­le­ria. Ado­ro fug­gi­re dal­la rou­ti­ne, lascia­re a ter­ra i pro­ble­mi e la fre­ne­ti­ca vita dei “ter­ri­co­li” per tro­va­re rifu­gio nel mare, goden­do­mi la mia soli­tu­di­ne, ospi­ta­to nel Sesto Con­ti­nen­te, il mon­do sommerso.

È una fuga dal­la qua­le non potrei rinun­cia­re. Nell’immenso blu, nei miei voli subac­quei, tro­vo il mio benes­se­re; ascol­to me stes­so e, gra­zie all’e­spe­rien­za, rie­sco a per­ce­pi­re la mia fre­quen­za car­dia­ca. Attra­ver­so l’e­ser­ci­zio men­ta­le, pos­so rego­la­re il mio orga­ni­smo nel­la ricer­ca del­la sim­bio­si per­fet­ta tra me e il gran­de blu. Ammet­to che non sem­pre ci rie­sco; non è sem­pli­ce, ma quan­do rag­giun­go tale sta­dio, è una magi­ca armonia.

Mi sen­to magni­fi­ca­men­te, ben accol­to dal mare, illu­den­do­mi a vol­te di esse­re dav­ve­ro for­tu­na­to, qua­si dimen­ti­can­do­mi di dover tor­na­re in super­fi­cie a respi­ra­re men­tre ammi­ro il volo di gros­si tri­go­ni curio­si. È fan­ta­sti­co, e non esi­ste, a mio pare­re, nul­la sul­la ter­ra­fer­ma che pos­sa rega­lar­mi sen­sa­zio­ni simi­li. Pan­tel­le­ria, con le sue acque cri­stal­li­ne e i fon­da­li mera­vi­glio­si, rigo­glio­si di vita e colo­ri, sarà sem­pre la cor­ni­ce idea­le per le mie avven­tu­re subacquee.

Ha notato cambiamenti significativi nell’ecosistema marino attorno all’isola nel corso degli anni, rispetto a quando hai iniziato a praticare l’apnea? Se sì, quali specie sono diminuite o scomparse e cosa pensi possa essere fatto per invertire questo declino?

Cer­ta­men­te, anche il mare di Pan­tel­le­ria subi­sce gli effet­ti di un ecces­si­vo sfrut­ta­men­to del­l’in­te­ro Medi­ter­ra­neo, cau­sa­to da fat­to­ri già elen­ca­ti e di cui l’uo­mo è respon­sa­bi­le. Madre Natu­ra si rin­no­va, cer­ca solu­zio­ni, è sem­pre pre­do­mi­nan­te, ma spes­so a disca­pi­to di noi stes­si. È incon­te­sta­bi­le che, in pas­sa­to, il mare di Pan­tel­le­ria fos­se più ric­co di pesce, come mol­te altre coste e iso­le italiane.

Cre­do si deb­ba tro­va­re una solu­zio­ne a livel­lo nazio­na­le: nuo­ve leg­gi, perio­di di fer­mo pesca e, mol­to impor­tan­te, un aumen­to dei con­trol­li con­tro ogni tipo di brac­co­nag­gio in mare. Nel­lo spe­ci­fi­co, pos­so comun­que affer­ma­re che Pan­tel­le­ria non vive affat­to una situa­zio­ne gra­ve come altre loca­li­tà e coste marine.

Nel­la mia regio­ne, il Lazio, dove mi immer­go spes­so, esi­sto­no trat­ti mari­ni ormai deser­ti­fi­ca­ti. Pan­tel­le­ria paga lo scot­to del­la pesca com­mer­cia­le, che con il cian­cio­lo fa stra­gi di pela­gi­ci che un tem­po fre­quen­ta­va­no l’i­so­la in nume­ro mol­to maggiore.

I bran­chi di ric­cio­le di taglia che ricor­do bene sareb­be­ro oggi un mira­co­lo; non rie­sco­no più a rag­giun­ge­re Pan­tel­le­ria. Il pesce stan­zia­le, inve­ce, è pre­sen­te: duran­te la sta­gio­ne esti­va si rifu­gia negli abis­si per­ché distur­ba­to, ma con­ti­nua a esser­ci. Resto pia­ce­vol­men­te sor­pre­so dal­la ripre­sa di un pesce che fino a pochi anni fa sem­bra­va estin­guer­si sul­l’i­so­la: la cer­nia. La osser­vo in ogni mia immer­sio­ne, con gio­va­ni esem­pla­ri che spe­ro pos­sa­no cre­sce­re e moltiplicarsi.

Anche il pesce bian­co è pre­sen­te nel­le acque iso­la­ne, con sara­ghi, cor­vi­ne e occhia­te. Ormai, da alme­no 30 anni, i pesci pap­pa­gal­lo pasco­la­no nel­le acque iso­la­ne; sono inqui­li­ni stan­zia­li che ruba­no ter­ri­to­rio al sara­go. Inol­tre, il pesce bale­stra si è adat­ta­to alle tem­pe­ra­tu­re del bas­so Medi­ter­ra­neo, e stan­no ini­zian­do a com­pa­ri­re anche i pri­mi esem­pla­ri di pesce scor­pio­ne del gene­re Pte­rois, uno scor­fe­ni­de pre­da­to­re infal­li­bi­le che sta colo­niz­zan­do la fascia meri­dio­na­le del Medi­ter­ra­neo. Madre Natu­ra Rin­no­va”.

La pesca in apnea è una disciplina che richiede non solo abilità fisiche, ma anche una profonda connessione con il mare e una consapevolezza etica. Quali consigli darebbe ai giovani che vogliono avvicinarsi a questa pratica, non solo da un punto di vista tecnico, ma soprattutto dal punto di vista del rispetto per il mare e la fauna marina?

Sen­za ombra di dub­bio, è impor­tan­te e direi essen­zia­le approc­ciar­si a que­sta disci­pli­na con un buon cor­so di apnea e pesca subac­quea. Ai gior­ni nostri, c’è la pos­si­bi­li­tà di svol­ger­li in tan­tis­si­me par­ti d’I­ta­lia. Si impa­ra­no impor­tan­ti nozio­ni di base, sia fisio­lo­gi­che che tec­ni­che, e si svol­ge mol­ta pra­ti­ca in pisci­na e in mare. I cor­si di apnea rap­pre­sen­ta­no la miglio­re peda­na di lan­cio, dove mae­stri ed esper­ti (mol­to più di me) inse­gna­no il mare anche dal pun­to di vista eti­co e rispettoso.

Inol­tre, è con­si­glia­bi­le anda­re per mare con un fida­to com­pa­gno di pesca, maga­ri più esper­to, e impa­ra­re ascol­tan­do i suoi inse­gna­men­ti e le sue espe­rien­ze. Anche Inter­net può esse­re di aiu­to, ma sem­pre con le dovu­te cau­te­le. Non biso­gna ave­re fret­ta di miglio­rar­si, né bru­cia­re le tap­pe, ma rispet­ta­re se stes­si per pri­mi. Col tem­po, i risul­ta­ti e le sod­di­sfa­zio­ni arri­ve­ran­no; le apnee saran­no buo­ne, ma è fon­da­men­ta­le man­te­ne­re la mas­si­ma atten­zio­ne. Il mare va affron­ta­to con timo­ro­so rispetto.

Guardando al futuro, quale eredità spera di lasciare alle future generazioni riguardo il mare e l’isola che tanto ama? Cosa desidera che comprendano del legame profondo tra l’uomo e la natura?

La mia spe­ran­za è che una mag­gio­re con­sa­pe­vo­lez­za pos­sa coin­vol­ge­re l’in­te­ra comu­ni­tà iso­la­na, così come i turi­sti resi­den­ti (come il sot­to­scrit­to), colo­ro che pos­sie­do­no una casa e cono­sco­no e fre­quen­ta­no l’i­so­la da anni, tut­ti colo­ro che ama­no Pan­tel­le­ria. Noi tut­ti dovrem­mo esse­re più soli­da­li e con­sa­pe­vo­li di ave­re tra le mani un gran­de teso­ro da cura­re, pro­teg­ge­re e con­ser­va­re, da con­se­gna­re in salu­te alle futu­re gene­ra­zio­ni. Pan­tel­le­ria meri­ta mag­gio­re con­si­de­ra­zio­ne da par­te di cia­scu­no di noi, e cre­do si deb­ba esse­re meno egoi­sti e più soli­da­li e pro­po­si­ti­vi. Pan­tel­le­ria è una gran­de madre che chie­de aiu­to, una natu­ra da pre­ser­va­re e non sfrut­ta­re. Voglio esse­re otti­mi­sta e pen­sa­re che Pan­tel­le­ria pos­sa miglio­ra­re e risplen­de­re come una vera perla.

Se dovesse descrivere in una parola ciò che il mare e l’isola significano per lei, quale sarebbe e perché? E se potesse lasciare un messaggio in bottiglia ai futuri abitanti di questo luogo, quale sarebbe?

Due paro­le: MAGIA PURA! L’im­mer­sio­ne in apnea è il con­se­gui­men­to del più anti­co sogno del­l’uo­mo, il sogno del volo! Sol­tan­to sot­t’ac­qua il cor­po uma­no è in con­di­zio­ne di muo­ver­si libe­ra­men­te, di vola­re ver­so il bas­so o ver­so l’al­to, gra­zie ai pro­pri musco­li e con pro­te­si ala­ri qua­li sono le pin­ne. Se si uni­sce alla sug­ge­stio­ne del volo la poten­te imma­gi­ne del sel­vag­gio mon­do som­mer­so di Pan­tel­le­ria e il desi­de­rio di liber­tà e avven­tu­ra, ecco che arri­via­mo a per­ce­pi­re il sen­so pro­fon­do del­la mia pas­sio­ne: magia pura.

Un messaggio ai futuri abitanti isolani? 

Voi ades­so ave­te il futu­ro di que­st’i­so­la nel­le vostre mani. È un futu­ro pre­zio­so: non lo distrug­ge­te, pro­teg­ge­te­lo, abbrac­cia­te­lo. È una cosa di cui un gior­no andre­te fie­ri, mol­to fieri.

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