Un lettore: finalmente a Pantelleria dove mio padre visse dal ’42 al ’43

Un lettore: finalmente a Pantelleria dove mio padre visse dal ’42 al ’43

24/03/2025 0 Di Redazione

Un nostro lettore, ci invia un appello alla vigilia della sua visita a Pantelleria sulle orme del padre, ormai scomparso.

Nell’inviarci un brano dell’autobiografia del genitore che parla della vita sull’isola, il lettore fa un appello a quanti forse hanno ancora un ricordo del padre tramite la nostra testata

Sal­ve. Que­sta dome­ni­ca arri­ve­rò a Pan­tel­le­ria per un bre­ve sog­gior­no. Ho custo­di­to da sem­pre que­sto desi­de­rio, ed ora, potrà rea­liz­zar­si. Non pos­so sot­ta­ce­re un lega­me mol­to for­te con que­sta iso­la, in quan­to qui ha vis­su­to un anno del­la Sua vita mio padre, Bar­to­lo­meo Pisa­ni, dal­la pri­ma­ve­ra del 1942 al giu­gno del 1943.
Visi­tar­la sen­za di lui, sarà il mio sen­so di col­pa più pro­fon­do. Per­ché tan­to e trop­po spes­so Egli me ne par­la­va. Vor­rei ades­so con­di­vi­de­re i suoi ricor­di con le sue paro­le, maga­ri, qual­cu­no dei loca­li potreb­be custo­di­re fram­men­ti di ricor­di che pos­sa­no esse­re col­le­ga­te a Lui.
Così fos­se, non esi­ta­te a con­tat­tar­mi con un mes­sag­gio Wha­tsApp al nume­ro 338 3302 260, Grazie.

Sal­va­to­re Pisani

Tra Giu­gno e Luglio 1942 (…)
In prin­ci­pio la sta­zio­ne radio era al sema­fo­ro in cima ad una col­li­na e dopo la tra­sfe­ri­ro­no a Scau­ri in con­tra­da Monastero.
C’era uno dei miglio­ri rifu­gi, ove sta­va il coman­dan­te, dopo l’ammiraglio dell’isola.
A Pan­tel­le­ria tro­vai altri miei pae­sa­ni: cer­to Blun­do, da civi­le al genio, un tenen­te Con­ti del­la mili­zia, ma bra­vis­si­mo, gene­ro­so, una bel­la moglie cala­bre­se più gene­ro­sa di lui e mi
invi­ta­va sem­pre a casa sua, un R.T., cer­to Mate­raz­zo e un cer­to Tro­va­to, Caru­so, Rosa del­la finan­za, Nifo­sì ed altri.
Anche qui a Mona­ste­ro face­va­mo tan­ti sacrifici.
Nel­le vici­nan­ze, sul­la col­li­na, c’era una vec­chiet­ta col mari­to anco­ra più vec­chio e mi rac­con­ta­va­no che sof­fri­va­no la fame. Io dis­si loro che pote­vo por­ta­re tan­to pane e pasta che
rima­ne­va­no e mi dis­se­ro che l’accettavano. Io li rac­co­glie­vo in un reci­pien­te ben puli­to e tut­ti i gior­ni glie­li por­ta­vo, quan­do ero libe­ro, s’intende.
Al vec­chio gli con­fi­dai che sof­fri­vo di dolo­ri reu­ma­ti­ci alle ginoc­chia e mi con­si­gliò di anda­re in un’altra col­li­na di fron­te, più alta, per un viot­to­lo che por­ta­va ad una grot­ta di natu­ra vul­ca­ni­ca e all’interno face­va un cal­do ecces­si­vo come un for­no, più si entra­va più cal­do era.
Mi dis­se che dove­vo fare una ven­ti­na di que­sti bagni di sudo­re, asciu­gar­mi bene, bere due uova ed un bic­chie­ri­no ogni vol­ta, dopo vestir­mi e coprir­mi bene con una coperta.
Così feci e mi è sta­ta la miglio­re medi­ci­na, per­ché per tut­ta la vita non ho più sof­fer­to di simi­li dolori.
Biso­gna­va rinun­zia­re e le sof­fe­ren­ze natu­ra­li era­no insop­por­ta­bi­li, quan­do una madon­na mi aiu­tò tan­to, per­ché auto­riz­za­ta dal coman­do dor­mi­va nel rifu­gio, in una stan­za vici­no a me.
Pre­stis­si­mo mi die­de con­fi­den­za, ave­vo il piz­zo e me lo fece taglia­re facen­do­mi fare pri­ma le fotografie.
Cam­biò la vita e quan­te cose da man­gia­re mi por­ta­va tut­ti i gior­ni che io divi­de­vo con quell’amico.
Vici­no all’isola ci fu una bat­ta­glia nava­le e qual­che nave fu affon­da­ta, dove sta­va mio cugi­no Car­me­lo Buo­no­mo, e tan­ti altri danni.
Il bol­let­ti­no non dis­se nul­la ed allo­ra capìi che tut­to era una bugia come accad­de in segui­to per noi dell’isola.
Non si pote­va far nul­la, biso­gna­va aspet­ta­re gli ame­ri­ca­ni che ci venis­se­ro a libe­ra­re o con la ragio­ne o col tor­to pur­ché la guer­ra finis­se al più presto.
Intan­to l’Africa era qua­si tut­ta in mano degli Ingle­si, Ame­ri­ca­ni e Fran­ce­si ed ave­vo let­to in un gior­na­le che il più corag­gio­so di tut­ti si dimo­strò il gene­ra­le Gra­zia­ni che scri­ven­do a Mus­so­li­ni ebbe a dire: tut­to è pron­to per l’avanzata ed occu­pa­re l’Egitto, gli uomi­ni sono pron­ti, ma man­ca­no i mez­zi che come voi sape­te devo­no afflui­re dal­la madre patria e non arri­va­no mai…
Fini­ta l’Africa toc­ca­va a noi, Pantelleria.
La decan­ta­va­no la “Mal­ta ita­lia­na”, che pro­pa­gan­da fal­sa, non c’era nul­la solo gli uomi­ni o car­ne da macel­lo. Il popo­lo sco­no­sce­va que­ste cose.
In que­sto perio­do muo­re mia madre, io non sep­pi nul­la, il coman­do lo sape­va, ma non mi dis­se­ro nul­la. Il capo Nifo­sì me lo dis­se, così mi die­de­ro la licenza.
La don­na che era auto­riz­za­ta a dor­mi­re nel rifu­gio, non vole­va che io andas­si in licen­za: “Cosa vai a fare, ormai tua madre non la tro­vi più, dopo un mese che è mor­ta, e se devi anda­re, devi anda­re con l’aereo e pen­so io a far­ti viag­gia­re, col piro­sca­fo non devi e non voglio.”
Il piro­sca­fo col qua­le avrei dovu­to anda­re in licen­za fu affon­da­to e mori­ro­no diver­si miei compagni.
Inco­min­cia­ro­no i bom­bar­da­men­ti di Pan­tel­le­ria, io sta­vo nel rifu­gio assie­me al coman­dan­te che mi ave­va più fidu­cia di tut­ti nel ser­vi­zio di comu­ni­ca­zio­ne. Il coman­dan­te sta­va in comu­ni­ca­zio­ne per tele­fo­no con l’ammiraglio Pavesi
Con­tem­po­ra­nea­men­te il coman­do ame­ri­ca­no dava l’avviso all’isola che si arren­des­se per evi­ta­re inu­ti­le spar­gi­men­to di san­gue. Una qua­ran­ti­na di tede­schi vole­va­no stu­pi­da­men­te che si con­ti­nuas­se la lotta.
Il coman­dan­te rispo­se all’ammiraglio che non era pos­si­bi­le e dato che da Roma insi­sto­no, fac­cia rispon­de­re che se sono corag­gio­si, ven­ga­no loro a sbar­ca­re quel­lo che vogliono.
Meri­ta­va un bacio quel coman­dan­te per­ché dis­se anco­ra: “Anzi, chie­dia­mo la resa subito!”
A noi ci distri­bui­ro­no gli ulti­mi con­for­ti del­la patria, un sal­sic­ciot­to e gal­let­ta che sem­bra­va­no avve­le­na­ti per­ché tut­ti ave­va­mo una sciol­ta ter­ri­bi­le e mal di sto­ma­co e men­tre da Roma dava­no il bol­let­ti­no che Pan­tel­le­ria resi­ste­va ed il per­so­na­le sta­va bene ed in pie­di tut­ti, noi inve­ce era­va­mo tut­ti sdra­ia­ti, stan­chi e stu­fi e sfiniti.
Il coman­dan­te, dopo il con­sen­so dell’ammiraglio, mi det­tò il tele­gram­ma di arre­sa da tra­smet­te­re a Mal­ta – “E devi tra­smet­ter­lo pro­prio tu.” – Mi disse.
Io chia­mai Mal­ta che rispo­se subi­to, gli tra­smi­si il tele­gram­ma e un minu­to dopo ces­sa­ro­no i bom­bar­da­men­ti. Ci abbrac­ciam­mo l’un con l’altro ed inco­min­ciam­mo a tran­quil­liz­zar­ci. Con cal­ma il coman­dan­te mi dis­se: “Quan­do in Ita­lia fare­mo una cosa giu­sta, io mi taglio il collo!”
Final­men­te, a poco a poco, ci por­ta­ro­no al cam­po di avia­zio­ne. Quin­di, assie­me a me una ven­ti­na di per­so­ne, ci por­ta­ro­no den­tro il rifu­gio dell’aviazione e ci die­de­ro da man­gia­re buo­no, biscot­ti, uova, ecc.
Io qua­si tut­ta la mia roba la lasciai ad una fami­glia, con il cap­pot­to ed una fisar­mo­ni­ca e due mila lire che dove­va­no man­da­re alla mia famiglia.”
Estrat­to da “La mia vita” di Pisa­ni Bartolomeo