Il Prefetto di Palermo ha incaricato Raimondo Liotta segretario presso ill Comune di Pantelleria. Soddisfazione…
Pantelleria: imparare a fari cuffini e panari
22/06/2019di Angelo Fumuso
Quest’anno il Comune ha istituito un corso di “Arte e tradizione”, per rinverdire alcune tradizioni, legate all’agricoltura pantesca.
Come tutti sappiamo l’agricoltura è in crisi perché i giovani non puntano più su questo settore e l’età media dei contadini panteschi è di 66 anni. In quest’ottica, rinverdire e promuovere l’antica arte di fare i panari è stata una buona cosa. Il messaggio è stato colto e il corso ha avuto successo. Tante sono state le domande di partecipazione, tanto che si è dovuto triplicare le scuole di arte e mestiere e trovare diversi maestri di panari isolani.
Il corso di cui parliamo, di cui pubblichiamo le foto, è stato tenuto dal maestro Franco Ferrandes di Khamma. Ogni corso ha otto partecipanti e, come dice l’amico Gianluca, più si va avanti con le lezioni e invece diminuire, gli allievi aumentano. Anzi, ritenute poche le le lezioni, gli allievi di questo corso, hanno deciso di andare a trovare Franco ogni settimana per imparare.
Fari panari è un antico mestiere, mestiere molto pratico e queste lezione iniziali sono servite a dare una panoramica teorica di come costruire un panaro. C’è bisogno di fare per proprio conto, di sbagliare certamente e tanto per arrivare al risultato finale di fare un panaro accettabile. Come si dice, bisogna cadere mille volte e mille volte volte ancora per imparare a camminare.
Tante tradizioni si stanno perdendo tra cui questa antica arte legata all’autosufficienza e all’ingegno isolano di costruirsi gli attrezzi del mestiere, del lavoro, tra cui fari i panari e i cuffini. Ho notato che il modo di fare i panari a Pantelleria è unico in Italia. È molto differente da quello Siciliano e da quello Nocerino, tra quelli più famosi e imitati. Infatti da noi, la costruzione del fondo avviene con 16 Virghe che costituiscono quattro croci bloccate dal primo passaggio da due Virghe di cui una a cappio, e poi da tre verghe che si intrecciano tra di loro.
Mentre nei modelli fuori dell’isola viene costituita diversamente: le prime quattro canne sono spaccate centralmente e le altre quattro canne, si inseriscono in questa fenditura. Poi la Virga incomincia a tessere ed espandere le canne che diventano a raggiera. Poi si innestano le virghe che andranno a costituire l’ossatura del paniere e dei manici.
Invece nel modello pantesco, l’ossatura del paniere è presente fin dall’inizio e da più robustezza al paniere e ai cesti, che ricordiamo hanno, come principale scopo, quello di essere dei contenitori capienti, forti e capaci di sopportare il peso della raccolta della vendemmia fino a supportare i cinquanta chili. Insomma, comu u sceccu pantisco, le cose costruite sull’isola sono forti e resistenti.
Abbiamo intervistato il maestro cestaio, Franco Ferrandes per capire da lui meglio, questo antico mestiere.
Allora Franco, puoi iniziare a descrivere quello che stai facendo ?
Allora, sto costruendo un cestino. Un cestino è composto dalle” virghe”, così si chiamano a livello pantesco, e sono rami di alberi d’ulivo, che sono molto flessibili e si adattano benissimo per la costruzione del cestino. Adesso viene composto il fondo, costituito da un incrocio con 16 e 16, 32 virghe, che salgono per tenere tutto il cestino o il panaro quel che sia; insomma, costituiscono lo scheletro del panaro. Dopo, questo fondo si richiude e una volta richiuso si tesse con le canne che portano a sollevare questo cestino portandolo a una ventina di centimetri.
Quindi arrivati a questa altezza, si fa un cordone delle stesse virghe che partono dal fondo e risalgono il primo cordone. Poi viene attorno fatto questo secondo cordone di fissazione per ultimare il paniere che può essere senza il manico o può essere con delle orecchie, oppure in ultimo, può essere senza nessuna cosa. Si possono fare tanti altri modelli a secondo l’idea che uno ha di quello che deve costruire.
Chi ti ha insegnato quest’arte?
A me hanno insegnato, quando ero da piccolo, i miei genitori e principalmente mio padre. Poi successivamente, mi sono fidanzato ed è capitato che anche mio suocero sapeva fare i cesti. Ho cercato di rubare il mestiere, un po’ da uno e un po’ dall’altro, cercando di costruire piano piano un mio stile, partendo dai difetti e dai pregi dei miei due maestri. Questo lavoro artigianale è ormai al tramontato e nessuno più si impegna a volerlo fare. Siamo rimasti in pochi a farlo! È un lavoro che deve nascere dall’interno, altrimenti non conviene nemmeno metterci le mano.
Quanto tempo ci mette per realizzare un paniere?
Non si può calcolare un tempo preciso, perché prima si fa la preparazione delle virghe, poi il lavoro delle canne. Pulirle tutte e sistemarle, mettere il tutto pronto e poi partire a costruire questo benedetto cestino. In un pomeriggio è possibile anche ultimarlo, a meno che che non sia un cestino molto grande o un paniere molto grande, però diciamo nell’arco della giornata si può fare benissimo.
70 o 80 anni fa, era una necessità fare un cesto di 50 kg per metterci l’uva dentro. Perché allora non era come oggi che con la macchina ci si sposta in un negozio e si va a prendere delle bacinelle di plastica, dei vacili e tutto il resto. Apri il portafoglio e compri.
Allora era necessario andare a raccogliere questo materiale e riunirsi in 4, o 5 persone e collaborare. Ognuno di loro aveva un compito specifico: chi puliva le canne, chi puliva le virghe, chi montava il fondo, chi faceva il cordone. Ultimando i cestini, queste quattro cinque persone se si dividevano tra di loro. Nell’arco della giornata, o di due giornate, o anche di tre giornate si facevano 5, o 6 o 7 cuffini e poi se li dividevano due ciascuno per andare a tagliare in campagna per raccogliere l’uva.
Ma si potevano riparare?
A seconda del danno che avevano, perché se non valeva la pena, c’era troppo tempo da perdere per ripararlo, conveniva farne uno nuovo, che non andare a sistemare quello che ormai era perso.
Quindi appunto per questo, era una necessità andare a fare i cesti, così come andare ad imparare. Ora che siamo tutti vecchi e i giovani non vengono più in campagna, quest’arte assieme a tanti altri insegnamenti rischia di andare tutta perduta.
Allora giustamente serviva quest’arte, per queste necessità di costruirsi gli attrezzi di lavoro che erano importanti per la vendemmia dell’uva. Essendo la nostra terra un’isola, c’era bisogno di industriarsi per fare tutto. Si faceva di tutto e si utilizzava tutto!
Ma oggi che che la campagna non è più produttiva come una volta, c’è il rischio di essere tutto abbandonato e tutti questi mestieri, tutte queste arti di morire.
Sono stato commissario del PSI e segretario del PD di Pantelleria. Uno dei fondatori dello storico mensile “Il Panteco”.
Sempre presente dal primo numero in videotape, al numero unico con Pier Vittorio Marvasi, Capo Redattore del Resto del Carlino, alla rinascita con Tanino Rizzuto giornalista de “L’ora” per la provincia di Trapani, durante gli anni di piombo della mafia.
Sono stato autore di numerose inchieste e servizi in quegli anni. Mi definisco ora e sempre un militante, convinto che a Pantelleria l’unico atto rivoluzionario sia l’informazione, che aiuti ad essere liberi e a pensare con la propria testa.