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Alì, arrivato a Pantelleria come profugo ora gioca in terza categoria
05/10/2019Sbarcato a Pantelleria per fuggire dalla Libia dove avevano massacrato la sua famiglia e lo avevano ridotto in coma, Alì oggi è una star del campionato di terza categoria.
Una storia esemplare di accoglienza ed integrazione che parte proprio dalla Perla Nera.
di Francesca Marrucci
La storia di Alì è un esempio. Arrivato a Pantelleria dalla Libia, da cui era fuggito dopo aver trovato la sua famiglia massacrata, dopo aver preso una coltellata lui stesso ed essere stato in coma per 5 settimane in ospedale, senza nessuna speranza se non quella della fuga disperata da un Paese in mano alle milizie del post-Gheddafi, ha iniziato una nuova vita proprio in Sicilia.
La sua storia l’ha raccontata Dario Piccolo sulle pagine de La Repubblica, raccogliendo la sua testimonianza e portandola come esempio di riscatto e rinascita sociale. Dopo essere sbarcato a Pantelleria grazie all’interessamento di un amico del padre ucciso, Alì è stato trasferito in molte località, fino ad arrivare a Marsala. Lì lo nota Enrico Licari, Presidente del Petrosino Marsala Black Stars, una squadra formata proprio da tutti ragazzi talentuosi fuggiti dall’Africa.
In questo contesto inizia la nuova vita di Alì, soprannominato ‘Capitan Iniesta’ dai compagni di squadra, fino a giungere alla vittoria nel campionato di terza categoria ottenuta quest’anno. In questo percorso e grazie all’aiuto dei nuovi amici italiani, Alì ha potuto scoprire che della sua famiglia c’era almeno una sopravvissuta: la sorella fuggita in Gambia, che è riuscito anche a riabbracciare. Adesso, l’obiettivo di Alì è portare a casa la sorella e tenerla al sicuro, perché dopo averla vista subire le violenze della milizia e aver pensato di averla persa definitivamente, nella sua nuova vita vuole anche quello che rimane della vita precedente.
Come Alì, tante sono le storie di integrazione e successo (dieci esempi li potete leggere qui: https://www.lifegate.it/persone/news/10-storie-migranti), che purtroppo trovano meno spazio sui giornali rispetto a quelle di cronaca nera. Dedicare un po’ più spazio a queste, aiuterebbe a non alimentare inutile odio e a comprendere invece le opportunità offerte dall’integrazione, anche in termini di sicurezza, anche a scapito di qualche click.
Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.