Intervista con Gilda Buttà: io, il Maestro Morricone e la Musica

Intervista con Gilda Buttà: io, il Maestro Morricone e la Musica

28/08/2024 0 Di Laura Boggero

Intervista con Gilda Buttà, in occasione del concerto di questa sera. La pianista della leggenda sull’oceano di Morricone ci racconta il suo rapporto con il Maestro e con la musica

di Lau­ra Boggero

Jel­ly Mor­ton, “l’uomo che ha inven­ta­to il jazz, a quan­to dico­no”, non può sop­por­ta­re che un pia­ni­sta sen­za tito­li, nato e cre­sciu­to su una nave da cro­cie­ra e mai sbar­ca­to, ugua­gli il suo talen­to. Sale sul­la nave e lo sfi­da. Baric­co descri­ve la sce­na del duel­lo musi­ca­le con paro­le appe­se all’estetica lie­ve del­la sua gram­ma­ti­ca. Tor­na­to­re la decli­na in det­ta­gli vivi­di, come le cor­de fuman­ti del pia­no­for­te. Mor­ri­co­ne la rac­con­ta con un vir­tuo­si­smo che supe­ra la tec­ni­ca e appro­da all’incanto. Quel­la sce­na è un capo­la­vo­ro con­cla­ma­to del­la sto­ria del cinema.
Non tut­ti san­no però che a vin­ce­re la sfi­da è una don­na: Gil­da But­tà.

Tim Roth imper­so­na Nove­cen­to con ener­gia sfer­zan­te e deli­ca­tez­za, ma non suo­na una nota, ovvia­men­te. Chi ese­gue, tra­du­ce, crea, riem­pie l’anima del­la musi­ca di Mor­ri­co­ne è Gilda.

Gil­da But­tà, sici­lia­na, è ai ver­ti­ci pia­ni­sti­ci inter­na­zio­na­li, fin da gio­va­nis­si­ma. Vin­ce il pre­mio Listz e tie­ne con­cer­ti in Euro­pa, Sta­ti Uni­ti ed Asia. Col­la­bo­ra per oltre 25 anni con Mor­ri­co­ne, regi­stran­do nume­ro­sis­si­me colon­ne sono­re (“La leg­gen­da del pia­ni­sta sull’oceano”, “Love affair”, “Cano­ne inver­so”, “Gli intoc­ca­bi­li”, “Vit­ti­me di guer­ra”, Il Papa Buo­no”, ecc…) ed inter­pre­tan­do la musi­ca asso­lu­ta del “Cata­lo­go” a lei espres­sa­men­te destinata.

In occa­sio­ne del con­cer­to che ter­rà sta­se­ra a Pan­tel­le­ria, l’ab­bia­mo intervistata.

Ci racconti del suo primo incontro con Ennio. È stata una folgorazione? C’è stato subito feeling? Come si diventa la pianista per cui Morricone scrive partiture dedicate?

Nes­sun col­po di ful­mi­ne, anzi la pri­ma vol­ta che mi vide da ragaz­zi­na, pro­po­sta per i tur­ni in sala di regi­stra­zio­ne, non era del tut­to tran­quil­lo. Ma Ennio era estre­ma­men­te serio e rigo­ro­so, mi mise alla pro­va. Con il tem­po ho sco­per­to anche la sua coe­ren­za e fedel­tà ver­so i suoi col­la­bo­ra­to­ri. Non ho comin­cia­to a lavo­ra­re per e con Ennio pen­san­do a tut­to ciò che sareb­be suc­ces­so nel tem­po: è accaduto.

Cosa pensa che Ennio abbia colto in lei, quali sfumature, come musicista e come persona? Che cosa è riuscito a tirare fuori di lei? Si dice che lei si dichiari molto fortunata ad aver avuto l’occasione di lavorare con Ennio, ma probabilmente la cosa era reciproca…

La com­po­nen­te clas­si­ca era la lin­gua comu­ne, attra­ver­so uno stru­men­to (per me) e la com­po­si­zio­ne (per lui). Pro­ba­bil­men­te poi il mio tim­bro sono­ro cor­ri­spon­de­va alle sue aspet­ta­ti­ve: il pia­no­for­te è uno, ma ogni musi­ci­sta ne fa qual­co­sa di uni­co, sem­pre diver­so, irri­pe­ti­bi­le nel tem­po e nel­lo spa­zio. Ero capar­bia, pun­ti­glio­sa, cer­ca­vo sem­pre di miglio­rar­mi. Anche ora, soprat­tut­to quan­do inter­pre­to la musi­ca asso­lu­ta dedi­ca­ta­mi da Ennio, la ristu­dio ogni vol­ta, cer­can­do ciò che non ho anco­ra trovato.

Una vita consacrata alla musica sembrerebbe implicare una rinuncia ad altre cose, se non altro in termini di tempo. C’è qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto?

Ho suo­na­to per il mon­do, ma non ho mai viag­gia­to per vacan­za e ci sono luo­ghi che mi pia­ce­reb­be visi­ta­re, come le Highlands scoz­ze­si e la Tur­chia. È scon­ta­to dire che avrei volu­to più tem­po per la mia fami­glia. Sono un’amante del­la Sto­ria e se non fos­si sta­ta una pia­ni­sta mi sareb­be pia­ciu­to fare l’archeologa. In fon­do, i due mestie­ri sono mol­to simi­li. Io con­ti­nuo a sca­va­re su una par­ti­tu­ra che per altri è solo un foglio bian­co con righe e pal­li­ni neri; per me è un mon­do da appro­fon­di­re, svi­sce­ra­re, por­tan­do ogni vol­ta alla luce nuo­vi det­ta­gli e gioielli.

Che musica ascolta una come Gilda Buttà quando si rilassa, cucina, fa la doccia?

Tut­to, sen­za pre­clu­sio­ni, jazz, pop, qual­sia­si gene­re. Sin da quan­do ero bam­bi­na, fini­vo di stu­dia­re Mozart e poi mi but­ta­vo su Gene­sis, Pink Floyd, Blues Bro­thers; mi diver­ti­vo per­si­no come spea­ker in una radio loca­le, per con­ti­nua­re all’infinito il mio appun­ta­men­to con la musi­ca. Guar­do anche San­re­mo: valu­to gli ele­men­ti tec­ni­ci, ma soprat­tut­to mi pia­ce segui­re, nel­le ese­cu­zio­ni, indi­zi che mi ripor­ta­no ad ami­ci, tra i mem­bri dell’orchestra e gli auto­ri. Ange­li­na Man­go, ad esem­pio, la cono­sce­vo sin da piccina.

Probabilmente è capace di suonare molte partiture, se non tutte, ad occhi chiusi. Ma ce n’è qualcuna che le ha richiesto una particolare concentrazione tecnica? Ad esempio, il celeberrimo pezzo della sfida di Novecento è davvero così importante ed impegnativo nell’esecuzione? 

All’interno del film, che sostan­zial­men­te è una favo­la, quel­la sce­na è costrui­ta con un gio­co espli­ci­to, a car­te sco­per­te: sono anda­ta in over­dub­bing, sovrap­po­nen­do­mi. La pri­ma vol­ta che l’ho fat­to dal vivo all’Arena di Vero­na, Ennio mi ha det­to: “vedi­te­la tu!” 

È un pez­zo dif­fi­ci­le, ma affron­ta­bi­le. Nel con­te­sto del­la musi­ca clas­si­ca ci sono cose che mi han­no richie­sto più fati­ca fisi­ca e mec­ca­ni­ca, come le pagi­ne listziane. 

Ho regi­stra­to tut­to pri­ma del­le ripre­se cine­ma­to­gra­fi­che, con Tor­na­to­re e Mor­ri­co­ne che mi anti­ci­pa­va­no il film, rac­con­tan­do­mi le sce­ne con bra­vu­ra scon­cer­tan­te. La fan­ta­sia galop­pa­va attra­ver­so i suo­ni e le imma­gi­ni, rag­giun­gen­do poe­sia e con­cre­tez­za. Ho sen­ti­to la respon­sa­bi­li­tà e l’onore di quel pez­zo scrit­to per me. C’è sta­ta un po’ di fol­lia in tut­to ciò; se ci aves­si pen­sa­to, men­tre regi­stra­vo, sareb­be sta­to ancor più arduo. Per acqui­sta­re cre­di­bi­li­tà nel­le moven­ze al pia­no­for­te, Tim Roth ha stu­dia­to dura­men­te e si è avval­so di un coach, che ha pre­sta­to poi le sue mani nel­le inqua­dra­tu­re stret­te sul­la tastie­ra; cre­do mi abbia odia­ta per lo sfor­zo a cui l’ho costretto!

Ha mai subito discriminazioni come donna nell’ambiente della musica? Ci si augura che l’arte sia risparmiata da queste meschinità, ma forse non è così. La grande musica è un habitat sessista?

A vol­te sì. Alla fine di un’importante esi­bi­zio­ne, da ragaz­za, mi sen­tii dire: “Bene, ti sei tol­ta la sod­di­sfa­zio­ne del con­cer­to, ora puoi anche spo­sar­ti e far figli”. Sono anda­ta avan­ti per la mia stra­da, spro­na­ta a fare sem­pre meglio. Ho igno­ra­to poi qual­che avan­ce stu­pi­da e bana­le, ma non ho mai avu­to pres­sio­ni sgra­de­vo­li. Ho sem­pre stu­dia­to il neces­sa­rio, con assi­dui­tà, pen­san­do che se quel­lo che face­vo pia­ni­sti­ca­men­te fun­zio­na­va, dove­vo far­lo fun­zio­na­re ancor meglio, per ricor­da­re che non ero solo una don­na, ma una pia­ni­sta. Mar­tha Arge­rich è uno dei più gran­di talen­ti esi­sten­ti, “the Queen”, uni­ver­sal­men­te rico­no­sciu­ta, nes­su­no disqui­si­sce sul fat­to che sia don­na. Il gran­de lavo­ro è pro­ce­de­re a testa bas­sa, per­fe­zio­nan­do le pro­prie capacità.

Gil­da dimo­stra il valo­re supre­mo del talen­to. E for­tu­na­ta­men­te non sia­mo costret­ti a sce­glie­re tra l’ineccepibilità tec­ni­ca di Jel­ly Mor­ton e lo spi­ri­to pal­pi­tan­te di Nove­cen­to, per­ché lei li ha entrambi.